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Vie ferrate e sentieri attrezzati sulle Dolomiti settentrionali: dalla storia all’outdoor

10
Giu
Federica Pellegrino e Marco Corriero ci introducono con queste parole due degli itinerari più belli che hanno scelto per la guida Le 50 vie ferrate più belle delle Dolomiti.
Ferrata Averau
L’Averau è la vetta più alta del Gruppo Nuvolau ed è uno dei punti più panoramici dell’Ampezzano, da cui si gode di un magnifico giro di orizzonte che abbraccia il Pelmo, la Civetta, l’Antelao, il Sorapiss e le Tofane.
La via ferrata, che sale sulla cima di questo torrione dalla forma inconfondibile, è molto breve e adatta ai principianti. Vi si arriva dal Passo Falzàrego con l’avvicinamento suggerito nella guida oppure con la seggiovia Cinque Torri che parte pochi chilometri prima del passo, a Bai de Dones, e raggiunge il rifugio Scoiattoli, da cui un sentiero sale rapidamente al rifugio Averau e all’attacco.
Durante la Grande Guerra alle Cinque Torri correva la seconda linea italiana, con un intricato reticolo di trincee, postazioni e camminamenti. Qui si era insediato il Comando dell’artiglieria di montagna: attorno ai massi rocciosi furono dislocate varie batterie di cannoni puntati contro le postazioni austriache del Sass de Strìa, del Piccolo Lagazuoi e del Castelletto. Furono proprio gli obici delle Cinque Torri a colpire e a mettere definitivamente fuori combattimento il Forte Tre Sassi, al Passo Valparola. Più volte re Vittorio Emanuele III visitò questo settore di guerra e i soldati italiani qui impegnati. Tutta l’area è sede di un museo all’aperto visitabile.

Sentiero Attrezzato Ivano Dibona
Realizzato alla fine degli anni Sessanta, il sentiero Dibona è uno degli itinerari d’alta quota più belli e frequentati delle Dolomiti, la cui notorietà è sicuramente legata anche al vertiginoso ponte sospeso.
Privo di difficoltà tecniche, percorre la dorsale ovest del Cristallo che dalla forcella Staunies scende al Col dei Stombe e si sviluppa sui camminamenti militari della Grande Guerra.
Lungo il tracciato si incontrano trincee, ricoveri e baraccamenti costruiti dai soldati per resistere a quello che fu il principale e pressoché invincibile nemico: la morte bianca, vale a dire il costante pericolo di assideramento e, in generale, di morte violenta, determinato dalle impervie condizioni di vita imposte dall’alta quota. Prima di sparare, infatti, i soldati dovevano organizzarsi a vivere e sopravvivere in postazioni tanto estreme. La lotta contro il maltempo, il freddo e gli assideramenti diventò importante quanto la lotta contro il nemico. Durante l’inverno i combattimenti cessavano quasi completamente e i soldati erano impegnati a tenere sgombre le trincee dalla neve e a mantenere i collegamenti con il fondovalle per gli approvvigionamenti.
Chiunque intraprenda il Sentiero Dibona non si faccia ingannare dalla facilità di accesso: è un itinerario lungo, di tipo alpinistico e con tutte le insidie della quota elevata.