Dolomiti Friulane, paradiso per gli appassionati di attività outdoor
Trekking, escursioni, arrampicata, vie ferrate, speleologia, canyoning, cicloturismo, MTB, parapendio e tante altre attività outdoor per una vacanza immersi nello scenario straordinario de I 50 rifugi più belli del Friuli Venezia Giulia .
Dolomiti d’oltre Piave o Dolomiti Friulane? Se la prima definizione è stata coniata da geografi e alpinisti che guardavano dal cuore delle Dolomiti, la seconda si deve agli appassionati di montagna del Friuli. Comunque la si chiami, la catena al confine tra le valli friulane e venete, e che prosegue a sud con le cime dell’Alpago e l’altopiano del Cansiglio, offre paesaggi tipicamente dolomitici, e permette di inoltrarsi in ambienti selvaggi.
Diretta da nord est a sud ovest la catena, tutelata sul versante orientale dal Parco delle Dolomiti Friulane, culmina nei 2703 metri della Cima dei Preti, seguita dal Monte Duranno, dal Monte Crìdola e dal Col Nudo. L’ultima elevazione di rilievo è il Cimon del Cavallo, raggiunto nel 1726 dai botanici veneziani Pietro Stefanelli e Giovanni Zanichelli, protagonisti di uno dei primi exploit dell’alpinismo europeo.
Popolato dal camoscio, dal capriolo, dallo stambecco, dal cervo, dall’aquila e dal gallo cedrone, il Parco ospita il falco pecchiaiolo, la civetta capogrosso, il picchio nero e alcuni orsi arrivati dalla Slovenia e dal Tarvisiano. Tra le rarità botaniche sono specie glaciali relitte come la genziana di Froelich e la pianella della Madonna.
A rendere tristemente celebri queste valli, nel 1963, è stata la frana di 270 milioni di metri cubi di roccia che precipitò dal Monte Toc nel lago artificiale del Vajont, e causò l’ondata di piena che uccise duemila persone tra Longarone, Erto e Casso. In tempi più recenti sono stati i libri di Mauro Corona, scrittore, guida alpina e scultore, a diffondere la conoscenza della zona.
Aspre e solitarie come le loro vicine, queste montagne assumono nel loro settore meridionale forme tipicamente prealpine. Ai loro piedi, il Bosco del Cansiglio, fonte di legname pregiato a poca distanza dalla pianura, ha rifornito per secoli l’Arsenale di Venezia.
Piccoli rifugi tra montagne selvagge
Raccontano del lavoro dell’uomo ai piedi delle vette i centri storici della valle del Piave e dell’Alpago sul versante veneto, e della valle del Tagliamento in Friuli, e le decine di malghe e casere spesso abbandonate. Gli escursionisti e alpinisti friulani trovano su queste montagne selvagge alcuni dei loro rifugi più amati (tra questi il Flaiban-Pacherini, il Maniago e il Giaf), e una trentina tra bivacchi fissi e casere riadattate.
Il primo rifugio del versante veneto è stato il Padova, inaugurato nel 1910 dal CAI, distrutto da una valanga nel 1931 e ricostruito in seguito. Il primo punto di appoggio del versante friulano è invece il rifugio Pordenone, classe 1930, che appartiene anche oggi al Club Alpino Italiano. Altri rifugi sono nati intorno alla Seconda Guerra Mondiale. Negli anni Settanta e Ottanta è stata la volta dei bivacchi. Da qualche anno, invece, si dà la precedenza alla ristrutturazione di casere in abbandono.
Più confortevoli, ma altrettanto sorprendenti, il rifugio Casera Ditta nella selvaggia e solitaria Val Mesath, e il rifugio Cava Buscada, nato in territorio di Erto, accanto a una cava di marmo in abbandono.
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