Cortina e i suoi monti ricchi di storie

Una severa fortezza italiana sorveglia Cortina d’Ampezzo e la valle del Boite. Il Forte di Monte Rite, in territorio di Cibiana di Cadore, è stato costruito dal 1911. Ecco la storia.
Era armato con quattro cannoni da 149 mm protetti da cupole d’acciaio, presidiato da 500 uomini, affiancato da una polveriera, una caserma e un osservatorio. Come gli altri forti della zona, fu abbandonato senza sparare un colpo dopo lo sfondamento austro-ungarico a Caporetto.
Il forte, raggiunto da una strada militare, ospita dal 2002 uno dei musei realizzati dall’alpinista Reinhold Messner. Il “Museo nelle nuvole” racconta la storia della scoperta culturale delle Dolomiti, e poi quella dell’alpinismo dolomitico. Il terrazzo offre uno straordinario panorama che si può ammirare dalle vetrate che hanno sostituito le cupole che proteggevano i cannoni. La vecchia caserma è diventata oggi il rifugio Dolomites.
Le sofferenze di Cortina. Se il Forte di Monte Rite non viene toccato dalla guerra, le cose sono diverse per Cortina d’Ampezzo. La cittadina e i suoi abitanti, che parlano un dialetto ladino, restano in territorio imperiale dopo la guerra del 1866, che fa diventare italiane San Vito di Cadore, Borca e Calalzo.
Nel 1809 gli Schützen d’Ampezzo partecipano alla rivolta di Andreas Hofer contro i bavaresi e i francesi. Nel 1848, quando il Cadore si ribella contro l’Austria-Ungheria, la gente di Cortina resta fedele all’Impero. Come segno di riconoscenza, il giovane Francesco Giuseppe dona agli Schützen una bandiera verde e bianca. Vi campeggiano il castello di Botestagno, stemma di Cortina, e il Sacro Cuore di Gesù, al quale il Tirolo è stato consacrato nel 1796.
Nel 1914, allo scoppio della guerra, gli uomini d’Ampezzo partono per il fronte orientale. Le guide alpine, come Angelo Dibona, vengono invece arruolate nei Kaiserjäger. Quando l’attacco italiano si avvicina, i generali di Vienna scelgono di non difendere Cortina, con il suo confine che taglia in piano la valle, ma di arroccarsi sulle montagne più a nord, dal Lagazuoi e dalle Tofane fino al Cristallo e alle Tre Cime.
I primi militari in grigioverde, otto fanti della Brigata Marche, entrano a Cortina il 27 maggio 1915. Antonia Verocai Zardini scatta alcune foto della scena. L’indomani, quando fotografa un altro reparto italiano, un ufficiale le ordina di smettere.
I rapporti tra gli ampezzani e i militari in grigioverde sono difficili. I comandi italiani sono infastiditi dai valligiani che non mostrano gratitudine per essere stati liberati. Nella valle arrivano quarantamila soldati, alberghi, case, stalle e fienili vengono requisiti, su campi e pascoli sorgono accampamenti e depositi, il coprifuoco è severo.
Mentre gli ampezzani arruolati nel 1914 combattono e muoiono in Galizia, i giovani e gli anziani sono arruolati tra i Landesschützen, i reparti territoriali. Molti di loro, dalle postazioni della Croda de r’Ancona, di Son Pòuses, del Lagazuoi e del Cristallo, vedono le loro case e il paese occupato dalle truppe italiane.
Tra il 1915 e il 1916 gli italiani tentano di sfondare tra il Ponte Alto e Son Pouses, poi gli scontri si spostano verso le Tofane e il Falzarego. L’11 luglio 1916, una mina italiana fa saltare in aria il Castelletto, massacrando i difensori austro-ungarici ma senza spostare in maniera sensibile il fronte.
A un anno e mezzo tranquillo segue lo sfondamento austro-ungarico a Caporetto, che costringe i reparti in grigioverde ad abbandonare le Dolomiti.
L’8 novembre 1917 le truppe imperiali tornano a Cortina d’Ampezzo. “Questo giorno non lo scorderemo mai più!” annota la lealista Maria Menardi de Vico. Alla fine del mese, il nuovo imperatore Karl arriva in paese e passa in rassegna gli Schützen. Un anno dopo l’Italia torna nella conca d’Ampezzo per restarci.
Dopo la fine della guerra. Cortina, come Livinallongo, viene staccata dall’Alto Adige e inserita nella nuova provincia di Belluno. Negli anni il benessere legato al turismo sana le antiche ferite, Cortina si integra nel Veneto, i sentieri di guerra del Falzarego, delle Cinque Torri e del Cristallo diventano delle attrattive per escursionisti e turisti. Nel 1956 la cittadina ospita le Olimpiadi invernali.
I 134 caduti ampezzani della Grande Guerra, però, restano vittime “di serie B”. Mentre di fronte alla stazione ferroviaria una colonna ricorda il generale Antonio Cantore, ucciso nel 1915 sulle Tofane, e nel Sacrario di Pocol vengono raccolte le salme dei caduti italiani, la gente di Cortina ottiene solo nel 1929 il permesso di erigere un monumento ai padri, ai figli e ai mariti caduti. La condizione è che sia all’interno del cimitero, e invisibile da fuori.
La bandiera bianco-verde degli Schützen, rimasta per decenni a Brunico, torna a Cortina nel 2002 dopo la ricostituzione della compagnia degli Schützen di Anpezo-Hayden. Nella “perla delle Dolomiti” qualcosa ri-corda ancora Francesco Giuseppe.
Un itinerario nella memoria. La visita ai luoghi della guerra a Cortina inizia dalla vecchia stazione, di fronte alla quale sorge dal 1921 il monumento al generale Antonio Cantore, opera dello scultore (ed ex-alpino) Umberto Diano. Sulla piazza centrale, all’ombra della parrocchiale settecentesca dei Santi Filippo e Giacomo e dell’imponente campanile del 1857, il busto di Angelo Dibona ricorda una grande guida alpina, e un uomo che vestì con onore la divisa dei Kaiserjäger.
Nella sede della “Union de i Ladis de Anpezo” si può vedere (su richiesta, non si tratta di un museo!) la ottocentesca bandiera degli Schützen. Una passeggiata in discesa porta al cimitero. A sinistra dell’ingresso, oltre le lapidi dedicate alle guide alpine, è la cappella dei caduti della Grande Guerra. Accanto ai nomi dei caduti, dei dispersi, dei civili morti per cause di guerra, dei deceduti dopo l’armistizio a causa di ferite o malattie legate si leggono i nomi di luoghi lontani: Galizia, Vojvodina e Bucovina.
Sacrari, trincee, fortezze. La strada che sale al Passo Falzarego conduce a Pocol, da cui si raggiunge con una breve passeggiata il Sacrario. Quest’ultimo, progettato da Giovanni Raimondi e terminato nel 1935, ospita i resti di 9707 caduti italiani (4455 di loro sono ignoti), tra i quali il generale Cantore, e di 37 caduti austro-ungarici.
Dalla strada per il Passo si sale in auto al rifugio Dibona. Iniziano da qui il facile e faticoso sentiero per Forcella Fontananegra e il rifugio Giussani (nei pressi fu ucciso il generale Cantore) e quello che sale alle gallerie del Castelletto. L’escursione più nota, da seguire con attrezzatura da ferrata e pila frontale, sale a spirale nella montagna. La galleria Karman, del tutto facile, ospita un cannone italiano.
Le trincee restaurate ai piedi delle Cinque Torri si raggiungono con la seggiovia che conduce al rifugio Scoiattoli. Il sentiero, breve e ben segnalato, offre dei panorami mozzafiato. In alternativa si può raggiungere in auto il rifugio Cinque Torri, e proseguire a piedi da lì.
Le spettacolari postazioni della Croda de r’Ancona si raggiungono con un bel sentiero da Malga Ra Stua, dove si arriva con i bus navetta da Fiames. Inizia dal posteggio di Sant’Uberto il sentiero che sale alle piazzole di artiglieria di Son Pouses.
Il “Museo nelle nuvole”. Il Forte di Monte Rite, che ospita uno dei musei di Reinhold Messner, si raggiunge dal Passo Cibiana, tra Cibiana di Cadore e Forno di Zoldo. Si può salire con uno dei fuoristrada che effettuano servizio di navetta, o a piedi per diversi sentieri. Le raccolte sono dedicate all’arte e alla storia dell’alpinismo. La terrazza, con le sue cupole di cristallo, offre un meraviglioso panorama sulle Dolomiti.
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