A piedi nel Friuli Venezia Giulia con Eugenio Cipriani

In uscita a maggio la nuova edizione di uno dei volumi più amati dai lettori di Iter Edizioni: A piedi nel Friuli Venezia Giulia. L’autore Eugenio Cipriani ce lo presenta.
Escursioni nel Friuli Venezia Giulia: dalle Alpi all’Adriatico in 64 indimenticabili tappe.
Il Friuli Venezia Giulia, a giudizio di chi scrive, è la regione del Nord più bella e più varia sotto il profilo ambientale. La scopriremo in lungo e in largo salendo cime che sfiorano i 3000 metri, attraversando pascoli, foreste, colline, borghi medioevali, fronti di guerra, gole selvagge, altopiani rocciosi per arrivare, infine, al mare.
Passiamo a descrivere le caratteristiche del territorio che visiteremo attraverso gli itinerari descritti in questa guida che, se per voi non saranno i migliori in assoluto, abbiamo la presunzione di credere che, quantomeno, li giudicherete comunque belli. Anzi, molto belli.
Né potrebbe essere diversamente perché il Friuli (ricordarsi l’accento sulla “u”, mi raccomando) è una delle regioni più belle d’Italia. Bella e modesta, come belli (dentro) e modesti sono i friulani. Al Friuli, poi, si accompagna la Venezia Giulia, territorio totalmente a sé sia per caratteristiche geografiche (mare e altopiano carsico) sia per gli abitanti, la maggior parte dei quali residenti a Trieste e nei borghi limitrofi e che sono una popolazione a sé rispetto ai friulani. Naturalmente anche dal punto di vista orografico c’è una bella differenza fra le varie zone e, di conseguenza, fra i vari tipi di escursioni.
Dolomiti Friulane
Partiamo dalle Dolomiti Friulane (o Dolomiti d’Oltrepiave). Qui l’ambiente è tipicamente dolomitico (d’altronde sono costituite in gran parte di dolomia) e le vette più alte (Duranno, Cima dei Preti e Cima dei Frati) sfiorano, pur senza raggiungerli, i 2800 metri, quota che di prealpino ha ben poco. Tuttavia i principali fondovalle si snodano a modesta altitudine e la vegetazione è spesso quella tipica delle Prealpi, cioè in buona parte a latifoglie. Fra esse rientra poi il gruppo Col Nudo-Cavallo, nodo orografico prospiciente la pianura e dalla quota prealpina ma con numerosi versanti che, quanto a ripidezza e dislivelli, incutono timore non meno delle ben più note montagne a nord del fiume Piave.
Prealpi Carniche
Più a sud e più ad est, ma senza oltrepassare la linea del Tagliamento, abbiamo le altre Prealpi Carniche, quelle del Pordenonese e, in parte, della provincia di Udine. Montagne sconosciute ai più ma assai frequentate dai friulani. Montagne dai dislivelli mozzafiato perché i versanti meridionali spesso si ergono direttamente dalla pianura o dall’entroterra collinare sino in vetta con sbalzi fra i mille ed i milletrecento metri, come ad esempio nel caso del Monte Raut. Nelle belle giornate molte di queste cime sono dei belvedere straordinari sull’alto Adriatico e sulla laguna, da Grado a Venezia. Di queste montagne la più (tristemente) nota è il Monte San Simeone, in territorio udinese, epicentro dei devastanti terremoti del maggio e settembre 1976.
Alpi Carniche
Proseguendo verso est e scavalcando il Tagliamento troviamo la Carnia: luogo magico, unico, straordinario! Talmente particolare che o ti piace e te ne innamori, oppure, visto una volta non ci torni più. Perché? Perché la Carnia non si può spiegare. La Carnia è il paesino di poche anime abbarbicato là dove perfino gli alberi faticano a crescere diritti. È la nuvola che incappuccia la cima con la pioggia sempre pronta a rovinarti l’escursione. È la roccia bianca come la neve scintillante al sole ma che dopo un breve rovescio assume un aspetto scuro e triste come la cappa di un vecchio camino. Non solo: la Carnia è terra di invasioni barbariche, di erba falciata su prati dove si fatica a stare in piedi, di donne robuste come tori e capaci di portare pesi come muli, di trincee scavate nella roccia, di contrabbandieri e di confini fantasma di una Cortina di ferro che, fortunatamente, non esiste più. La Carnia è un microcosmo dentro il macrocosmo delle Alpi. Alle quali sembrano non appartenere nemmeno, tanto diverse sono dalle confinanti Dolomiti quanto dai non lontani Tauri. Mi sia consentito esprimere una convinzione maturata in anni di frequentazione di questi monti ma anche delle montagne croate, bosniache e montenegrine: le Alpi Carniche, così come le vicine Giulie, secondo me profumano più di Balcani che di Alpi.
Alpi Giulie
Come le Carniche, anche le Alpi Giulie sono un mondo a sé. Sulle Giulie tutto è grande. Anzi no, meglio: sulle Giulie tutto è profondo. Perché l’impressione che danno queste montagne non è quella di innalzarsi verso il cielo ma di sprofondare verso l’interno della crosta terrestre. Non a caso fra queste montagne troviamo un torrente dal nome emblematico: il rio “Sfonderat”, le cui acque hanno inciso e continuano a incidere il calcare del Monte Cimone creando un impressionante “budello” di oltre mille metri di dislivello che confluisce nel torrente Dogna il quale, a sua volta, trae origine dall’incommensurabile abisso della Clapadorje scavatosi nel corso di centinaia di migliaia di anni fra le rocce dei Curtissons e quelle del Montasio. Insomma, queste montagne sono un susseguirsi di sprofondamenti e di abissi senza fine. Il Montasio, montagna simbolo delle Alpi Giulie italiane, sull’alta Val Dogna prospetta uno fra gli sbalzi di pura roccia più alti e vertiginosi dell’intera cerchia alpina: la parete ovest.
Prealpi Giulie e Carso
Assomigliano alle Giulie ma si presentano assai differenti dalle loro “sorelle” situate dall’altra parte del Tagliamento: stiamo parlando delle Prealpi Giulie. Queste montagne si presentano sotto forma di catene lineari che si succedono una dopo l’altra, dai Musi sino ai colli del Natisone passando per la Venzonassa e il Matajur. In realtà sono lineari solo in apparenza mentre se vi ci si accosta si scopre una ricchezza di contrasti e non solo morfologici. Sono tutte montagne ripide e selvagge, verdissime perché piovose (negli ultimi anni un po’ meno) e tutte, con buona visibilità, balconi straordinari sull’alto Adriatico.
Infine visiteremo il Carso goriziano e triestino, che è il Carso triste della Grande Guerra, il fronte più sanguinoso di tutta la storia d’Italia con le sue undici battaglie dell’Isonzo. Ma è anche il Carso solare e festoso delle gite “fuori porta” di triestini, monfalconesi e goriziani. Il “non mare” della Venezia Giulia, nata e sviluppatasi in simbiosi con l’elemento liquido ma strettamente legata alle alture retrostanti impostate su un altro mare, fatto in questo caso di roccia calcarea purissima, il Carso, appunto, che si estende dall’entroterra di Monfalcone sino a Fiume e alle sue montagne.
Foto Karim Tomasino
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