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Mese: Luglio 2019

Lofoten, tra paesaggi da favola e case disegnate

L’intero arcipelago delle Lofoten è un angolo di paradiso di una bellezza limpida e cristallina, dove le rocce a picco incontrano le acque dai colori intensi del Mar di Norvegia, mentre il cielo del Nord, mosso da nubi sfrangiate e raffiche di vento, aggiunge poesia a un paesaggio da favola. Oggi lo scopriamo con Lucrezia Argentiero e la sua guida Il giro del mondo in 80 isole.

Provate a chiudere gli occhi e cominciate a disegnare nella vostra immaginazione delle lingue di terra che durante l’inverno sono sommerse dai ghiacciai, mentre in estate si ricoprono di infinite distese di muschio dal colore verde acceso. Sempre tenendo ben stretti gli occhi, iniziate a contornare, con la fantasia, i fiordi che tagliano la costa con i laghi posizionati in fondo ai precipizi. Ci siete quasi. Non dimenticate cormorani, urie, aquile, foche, orche assassine e balene. Ora, per finire, aggiungete qua e là delle palafitte con il tetto a punta e rigorosamente di colore rosso. Il risultato? Le Lofoten. Se avete osato tanto nell’immaginarle, resterete ancora più sbalorditi quando le vedrete per davvero.

Nel mondo del silenzio

Queste terre sono ben descritte dai colori della bandiera di stato: blu come il mare, bianco come la neve, rosso come le tipiche casette di legno lungo i fiordi. Siamo già oltre il Circolo Polare Artico, ma non fatevi trarre in inganno, le Lofoten godono di un clima eccezionalmente mite che, a dispetto della latitudine, consente di programmare un viaggio indimenticabile in tutte le stagioni dell’anno. E una volta immersi nella natura, sarà facile calarsi appieno in un’atmosfera tutta nuova, fatta di sconfinati silenzi. Diverse le esperienze in cui cimentarsi per la prima volta. Se volete lasciarvi incantare dallo spettacolo delle aurore boreali, quando le notti interminabili vengono spezzate dalle luci di diversi colori e forme, siete davvero nel posto giusto. Qui, durante l’inverno artico, il più spettacolare gioco di bagliori che illumina il cielo, diventa ancora più bello grazie alla maestosa natura che gli fa da cornice. Vale la pena iscriversi ad un safari per inseguire la scia di questi magici fasci luminosi. Oppure potreste andare sulle barche o gommoni, con guide specializzate, per l’avvistamento delle orche, che da novembre a gennaio si concentrano nel tratto di mare del Vestfjorden (tra la costa e le Lofoten) e del Ofotfjorden, seguendo le migrazioni delle aringhe, il loro cibo preferito. Il periodo più favorevole e dicembre. Anche se il sole non si alza mai sopra l’orizzonte, la debole luce e sufficiente a realizzare fotografie spettacolari, grazie alla nitidezza dell’aria (vengono organizzati dei veri e propri workshop fotografici).

guida Lofoten

In queste isole si va anche a caccia di opere d’arte

Le rorbuers (le tipiche abitazioni del vero e grande Nord Europa), abbandonate e disseminate ovunque in questi lembi di terra, grazie ai norvegesi Pobel e Dolk sono rinate a nuova vita. Su alcune facciate di queste case i due artisti hanno realizzato dei graffiti e disegni molto originali, tanto da rendere il paesaggio ancora più affascinante e unico. Così gli uomini della street art hanno ridato con le loro opere una seconda possibilità a queste abitazioni. Le hanno fatte rivivere e quasi “prendere forma”. Ogni casa ha un soggetto diverso. Una bimba che abbraccia il suo orsetto, un signore che si alza dalla sedia a rotelle, spinto dalla curiosità di affacciarsi e vedere fuori. Un uomo seduto sulla sua grande e comoda poltrona. Tutti momenti di vita quotidiana e semplice che affascinano.

Escursione nella capitale

Se volete continuare il percorso artistico non vi resta che recarvi a Svolvar (la “capitale” delle Lofoten), dove ci sono alcune gallerie d’arte interessanti e concedervi una pausa caffè in una delle diverse caffetterie. E i più audaci, subito poco fuori del centro abitato, possono cimentarsi nella scalata del monte Svolvargeita (Svolvar Capra). Andando verso sud non sarà difficile incontrare anche altre montagne. Un consiglio? Salite almeno su una di esse. Mettete da parte la pigrizia. La posta in gioco è davvero alta! Il panorama delle isole visto da una di queste cime vi lascerà senza fiato.

La guida

Nella guida trovi inoltre preziosi consigli pratici su dove mangiare e dormire, curiosità e l’idea in più per una vacanza diversa dal solito. Buona lettura!

 

Filicudi, bella da morire | Isole Eolie

Se amate la solitudine e il vivere un po’ in maniera “selvaggia“ questa è l’isola che fa per voi. Filicudi è l’antica Phoenicusa, così chiamata per la vegetazione abbondante di felci. Insieme ad Alicudi è geologicamente la più vecchia delle Eolie. Lucrezia Argentiero la racconta nella guida Il giro d’Italia in 50 isole.

Filicudi è un’isola riservata e piccola, dai tratti ancestrali, di una bellezza disarmante, che va assaporata lentamente e vissuta intensamente. Quindi lasciate l’orologio a casa. Il ritmo ve lo darà lei. E non vi sentirete mai soli. Ad “accompagnarvi“ ci saranno rocce, silenzio, profumi, l’azzurro del mare e il nero delle colate laviche, il vento, il sole di giorno e le stelle di notte. E le emozioni, tante.

Il paradiso per gli amanti del trekking

Filicudi è bella da vivere via mare, ma il consiglio è quella di scoprirla prima via terra. Armatevi di scarpe da trekking e zaino e inerpicatevi tra i vari sentieri, sterrati e ripidi, provando a imitare le caprette selvatiche che qui brulicano indisturbate. Filicudi, ve ne accorgerete presto, è il luogo ideale per camminare. Le stradine sono le vecchie mulattiere che, passo dopo passo, vi condurranno a villaggi abbandonati e a panorami da cartolina.
Un itinerario più impegnativo è la salita a Monte Fossa delle Felci. Si parte dal porto, si percorre un’antica mulattiera che conduce al borgo di Valdichiesa. Poi si giunge a Liscio, da dove si dirama un altro sentiero che vi farà arrivare in cima alla Fossa delle Felci (774 metri). Tutt’intorno corbezzoli, eriche e giganteschi alberi di castagno. Avvolti solo dal silenzio, scorgerete poco più in là l’Isola di Alicudi e l’imponente faraglione, La Canna, che, con i suoi 74 metri di altezza, emerge dal mare, a testimonianza di un’antica eruzione lavica sottomarina e si innalza al cielo come un guardiano del mare. È qui, solo su questo scoglio simbolo di Filicudi che vive una specie protetta di lucertola nera e nidifica il falco della regina.
Se vi affascinano i paesi fantasma, soprattutto quelli abbandonati immersi in un ambiente di rara bellezza, recatevi al villaggio disabitato dello Zucco Grande, che sorge sui resti di una gigantesca esplosione vulcanica. Si dice che qui abitassero le donne più belle dell’isola. Oggi sono visibili solo i ruderi e si può avvertire ancora quella magia onirica di un mondo passato. Bellissima la vista che si apre su Salina, Lipari e Vulcano.

A tutto mare

Se cercate la sabbia fine, non siete nel posto giusto! Le spiagge, infatti, sono tutte di ciottoli. La più bella? Capo Graziano. Si trova nella parte meridionale ed è collegata al resto dell’isola da una lingua di sabbia larga 500 metri, ricoperta da ciottoli vulcanici tondeggianti di colore grigio. Un piacere camminare a piedi nudi per fare anche barefooting, una filosofia e una pratica che dimostra come camminare scalzi, senza nessuno scudo a fare da barriera, sia benefico sia per il corpo che per la mente. Ma passeggiare a Capo Graziano è un beneficio anche per gli occhi. Il mare, di un azzurro intenso, bagna la spiaggia e si infrange su enormi rocce che nascondono suggestive calette da esplorare in barca.
Nella parte più alta vi è anche il villaggio risalente all’Età del Bronzo: una ventina di capanne dalla forma ovale. Da qui, si arriva alle antiche Cave di Macine dove, proprio sulla costa dell’isola bagnata dal mare, si scorgono alcuni resti di macine. Se siete appassionati di immersioni tuffatevi nella secca di Capo Graziano. Vi è persino un museo archeologico sottomarino, per ammirare i tanti relitti archeologici sprofondati negli anni, tra cui una nave di epoca ellenistica.
Dal porticciolo di Pecorini partono, invece, le barche per il giro dell’isola. La più grande insenatura delle Eolie vi attende. Alta 20 metri, larga 30 e profonda 20, la Grotta del Bue è accessibile solo con piccole imbarcazioni e a nuoto. Qui il mare vi stupirà grazie alla luce solare che filtra nella grotta trasformando l’acqua in un arcobaleno di colori. E in fondo alla grotta? Una spiaggetta, anche questa di ciottoli.

Cosa fare dopo tanto girare?

Un consiglio per i romantici. È d’obbligo fermarsi e aspettare che il sole tramonti. Bisogna salutarlo. State certi, non ve ne pentirete. Dove? Salite sino al Belvedere di Stimpagnato. Ci si arriva dopo una bella passeggiata panoramica. Ma come rinunciare all’emozione mozzafiato di vedere il sole che si tuffa nel mare? Se riuscite, portatevi una buona bottiglia di vino ghiacciato e bicchieri. Brindate allo spettacolo che solo Filicudi può regalare. E, ovviamente, all’amore.

La guida

Nella guida trovi inoltre preziosi consigli pratici su dove mangiare e dormire, curiosità e l’idea in più per una vacanza diversa dal solito. Buona lettura!

guida alle isole d'italia

Il Giro dei Cinque Laghi da Madonna di Campiglio

Affacciati sulle Dolomiti di Brenta, è una classica escursione che si snoda lungo le pendici del gruppo della Presanella. Durante il cammino avremo modo di ammirare il Lago di Nambino, il Lago Serodoli, il Lago Gelato, il Lago Lambin e il Lago Ritorto. Alberto Campanile descrive l’itinerario nella guida Sentieri e Rifugi del Gusto. I sapori delle Dolomiti e delle Valli Trentine.

Secondo la leggenda il Lago di Nambino era abitato da un drago tranquillo e inoffensivo. Per un inesplicabile motivo un giorno divorò un vitello, due pecore e il pastore che li accompagnava. Ingaggiati due cacciatori della vicina Val di Sole, l’animale fu ucciso. Allora si capì perché il basilisco era diventato aggressivo: cercava di proteggere il grosso uovo che nascondeva tra le zampe. Ora che il drago non crea più scompiglio, il Giro dei Cinque Laghi è uno degli itinerari più frequentati e amati della Val Rendena. Si sviluppa alle pendici della Presanella, lungo sentieri affacciati sulle Dolomiti di Brenta. Nel tratto fra il Lago Serodoli e il Rifugio Lago di Nambino la segnaletica non è abbondante, è bene prestare attenzione.

Punto di partenza Rifugio Cinque Laghi (2069 m)
Punto di arrivo Madonna di Campiglio (1506 m)
Tempo 5.15 ore
Dislivello 350 m in salita, 890 m in discesa
Difficoltà EE
Periodo consigliato da giugno a settembre
Segnaletica 232, 217, 277
Cartografia Tabacco foglio 053 Dolomiti di Brenta

Accesso

Raggiunto il centro di Madonna di Campiglio, si può lasciare l’auto al Parcheggio Spinale nell’omonima via (accesso da sud, a pagamento); da qui a piedi in pochi minuti si raggiunge la stazione di partenza della Cabinovia Cinque Laghi, in Via Presanella. Vicino alla Cabinovia Cinque Laghi, ma un po’ più caro, è il Parcheggio di Piazza Sissi (a pagamento). Lo si raggiunge da sud, seguendo prima Viale Dolomiti di Brenta e poi Via al Sarca. Per le tariffe e maggiori informazioni sui parcheggi consultare il sito www.campigliodolomiti.it. Con la cabinovia si sale al Rifugio Cinque Laghi (2069 m). Per informazioni sugli orari consultare il sito www.funiviecampiglio.it o chiamare il numero 0465.447744.

Itinerario

Si comincia a camminare sul sentiero segnavia 232, che inizia alle spalle del rifugio (in direzione ovest). Oltrepassato un tratto pianeggiante, ma esposto, si raggiunge il vicino Lago Ritorto (2063 m, 0.15 ore), di origine glaciale, adagiato tra l’omonimo monte e Cima Nambrone.
Da qui si prosegue sulla destra (nord) sempre lungo il sentiero 232 che sale a Passo Ritorto (2275 m). Si continua seguendo il tracciato che, con alcuni saliscendi tra lastroni di roccia, porta ad un bivio. Ignorato il sentiero di destra (segnavia 269) che scende al Lago di Nambino, si prosegue sulla sinistra fino al vicino Lago Lambin (2324 m, 0.45 ore), incastonato in una conca rupestre. Si continua a salire sulla dorsale fino ad un bivio (1 ora). Si prende a sinistra (segnavia 217) e in breve si raggiunge il Lago Gelato (2393 m, 0.30 ore a/r).
Tornati al bivio si prosegue sul sentiero segnavia 217 fino al vicino Lago Serodoli (2370 m, 0.30 ore). Fin dal secolo scorso, questo bacino fu sfruttato a fini idroelettrici. Il 14 ottobre del 1954, mentre si effettuavano dei lavori, si aprì una faglia che provocò il quasi totale svuotamento del bacino. L’acqua precipitò a valle, causò notevoli danni ma, per fortuna, non ci furono vittime.
Dal lago si piega sulla destra per il ripido sentiero (ancora segnavia 217), che tocca il vicinissimo Bivacco al Lago Serodoli. Si continua in discesa per sfasciumi prima al bel Lago Nero, quindi ad un bivio. Proseguendo sulla destra si scende rapidamente al Rifugio Lago di Nambino (1770 m, 1.15 ore). Per rientrare a Madonna di Campiglio si segue il sentiero 217, poi la strada inizialmente non asfaltata, contrassegnata dallo stesso segnavia, fino alla Malga di Nambino. Ad un bivio si ignora la strada di sinistra per Malga Zeledria, si continua dritti per 150 metri, quindi si prende sulla destra.
Poco dopo, sulla sinistra, s’incontra la strada sterrata (segnavia 277) lungo la quale si scende a Madonna di Campiglio (1506 m, 1 ora).

Giro dei Cinque Laghi

Foto: Marco Putzolu.

La guida

Ecco la nuova guida Sentieri e Rifugi del Gusto. I sapori delle Dolomiti e delle Valli Trentine.

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Il Rifugio Torre di Pisa e la Ferrata dei Campanili

In bilico tra la catena Latemar e quella del Lagorai, la Val di Fiemme si apre alle Dolomiti trentine con i suoi scenari da cartolina, la frescura dei boschi, i laghi e i sapori di una terra generosa di golosità. Alberto Campanile descrive la Ferrata dei Campanili nella guida Sentieri e Rifugi del Gusto. I sapori delle Dolomiti e delle Valli Trentine.

La Torre di Pisa e i Campanili del Latemar sembrano irreali, emergono all’improvviso dai ghiaioni o dal verde dei pascoli. L’itinerario proposto entra nel cuore del massiccio, tra le “bambole di pietra” del Latemar. Secondo la leggenda, una giovane pastorella, Minega, trovò un coltello dal manico d’oro. Lo restituì al ricco proprietario che, per gratitudine, le promise una bambola. Una strega convinse l’ingenua fanciulla a chiedere un compenso più sostanzioso. Il giorno dopo, quando la bimba si recò per ricevere il dono promesso, non seppe accontentarsi. Allora, per magia, tutte le bambole splendidamente vestite con abiti di seta si trasformarono in guglie di rara bellezza. Per scoprirle si raggiunge prima il Rifugio Torre di Pisa e poi si percorre la Ferrata dei Campanili (tratti esposti). La prima parte dell’itinerario è alla portata dell’escursionista medio, mentre il percorso attrezzato è riservato a escursionisti esperti, ben allenati ed equipaggiati con casco, imbrago e kit da ferrata.

Scheda tecnica itinerario

Punto di partenza Baita Passo Feudo (2175 m)
Punto di arrivo Bivacco Rigatti (2620 m)
Tempo 2.45 ore a/r fino al Rifugio Torre di Pisa; 7.15 ore l’itinerario completo
Dislivello 500 m fino al Rifugio Torre di Pisa, 650 m e diversi saliscendi l’itinerario completo
Difficoltà E fino al Rifugio Torre di Pisa; EEA l’itinerario completo. EEA = Escursionistico per Esperti con Attrezzatura. Rientrano in questa categoria i sentieri e le vie ferrate da affrontare con casco, imbragatura, dissipatore, cordini e moschettoni (Set da ferrata).
Periodo consigliato da giugno a inizio ottobre
Segnaletica 516, 18, 511
Cartografia Tabacco foglio 014 Val di Fiemme – Lagorai – Latermar

Accesso

Da Predazzo si percorre per circa un chilometro la SS48 delle Dolomiti in direzione Val di Fassa. In località Stalimen, all’altezza dello Stadio del Salto, si devia sulla destra (parcheggio). Si sale in cabinovia fino a Gardoné (1650 m). Da qui si prosegue in seggiovia o a piedi (T, 1.45 ore, segnavia 504) fino al rifugio Baita Passo Feudo.
Da Pampeago si sale con la seggiovia Latemar fino alla malga Ganischgeralm, poi a piedi lungo il sentiero 521 (0.40 ore).

Itinerario per il Rifugio Torre di Pisa

Dalla Baita Passo Feudo (2175 m) ci si incammina per l’ampio sentiero (segnavia 516 e ometti di pietre), che s’insinua verso nord tra i pascoli. Giunti ad un bivio si ignora il sentiero (segnavia 22) diretto a Malga Mayrl, e si continua seguendo sempre i segnavia 516. L’itinerario s’inerpica, ripido e faticoso, per ghiaie e tratti rocciosi fino al Rifugio Torre di Pisa, appollaiato su un costone roccioso (2671 m, 1.45 ore). Questo rifugio, ristrutturato nel 2017 (tel. 348.3645379, www.rifugiotorredipisa.it), rappresenta la meta per i non esperti e non dotati di attrezzatura (1 ora per tornare alla Baita Passo Feudo).

Itinerario per la Ferrata dei Campanili

Continuando si arriva in breve alla Torre di Pisa, esile guglia dall’aspetto ardito e precario. Si procede senza particolari insidie lungo il sentiero (ancora segnavia 516) fino alla Forcella dei Camosci (2590 m) e al bivio con il tracciato proveniente da Obereggen. Si prosegue verso nord (segnavia 18 e 516) lungo un altopiano che porta alla Forcella dei Campanili, dove si indossano il casco e l’imbragatura (1 ora).
Risalite alcune facili rocce, in breve si arriva al primo cavo d’acciaio. Il percorso attrezzato (segnavia 511) si sviluppa verso est per cenge, camminamenti esposti e balze rocciose dotate di attrezzature. Arrivati ad un caratteristico canalone, si scende un tratto decisamente ardito, agevolato da provvidenziali staffe metalliche; poi si riprende sulla parete opposta. La si supera grazie ad alcuni pioli e funi d’acciaio; in breve si raggiungono Forcella Grande e il Bivacco Mario Rigatti (2620 m, 1.30 ore). Da qui si procede lungo il sentiero (segnavia 18) che inizialmente scende su un breve tratto di ghiaione verso sud, quindi continua in direzione ovest fino a giungere in prossimità della Forcella dei Campanili.
Lungo il percorso effettuato in salita si torna al Rifugio Torre di Pisa (2 ore). Per rientrare alla Baita Passo Feudo occorre 1 ora di cammino.

La guida

Ecco la guida Sentieri e Rifugi del Gusto. I sapori delle Dolomiti e delle Valli Trentine con 24 itinerari a piedi con descrizione, mappa e bellissime foto e tanti approfondimenti e curiosità:

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L’escursione da Pont al rifugio Città di Chivasso

A 2604 metri, il Rifugio Città di Chivasso sorge presso il Colle del Nivolet, nel cuore del Parco Nazionale del Gran Paradiso. L’itinerario per raggiungerlo è descritto nella nuova guida I Rifugi della Valle d’Aosta.

Chi vuol passare la notte al Nivolet può utilizzare il rifugio Città di Chivasso, una costruzione del CAI a pochi minuti di cammino dalla strada. Per continuare a piedi verso il Col Rosset, il Colle di Nivoletta o la Punta Fourà occorre camminare un po’ più a lungo. Fa piacere, però, non avere di fronte un posteggio. Il rifugio è stato costruito nel 1940 e ampliato più volte in seguito. Il panorama è limitato dalle alture che chiudono a oriente il bacino del Nivolet. Verso nord domina il paesaggio la Grivola. Basta salire per pochi metri dal rifugio per scorgere anche le vette della testata della Valle di Ceresole, dalla Punta Galisia alle Levanne.

Coordinate satellitari 5°28’47’’N – 7°08’34’’E
Posti letto 32
Locale invernale 4+2 posti letto
Proprietà Comune di Valsavarenche, 0165.905703
Gestore Alessandro Bado, 011.8125235
Telefono 0124.953150
Web
www.rifugiochivasso.altervista.org
Mail
rifugiochivasso@email.it 
Apertura
da fine giugno a fine settembre
Accesso in auto da Ceresole Reale, a piedi da Pont (3.30 ore)
Famiglie con bambini il Colle del Nivolet e i suoi dintorni permettono molte piacevoli esplorazioni con bambini e ragazzi di tutte le età

Da Pont al rifugio Città di Chivasso (660 m di dislivello, 6 ore a/r, E)

Lungo come sviluppo ma breve per dislivello, l’itinerario da Pont al Nivolet comprende un primo tratto ripido e un secondo quasi pianeggiante. Davvero straordinari, lungo tutto il percorso, i panorami sul Gran Paradiso.

Da Dégioz si segue la strada fino a Pont (1960 m). Si continua a piedi per il sentiero (segnavia 3 e 3A) che inizia accanto ad una cappella e sale ripidamente a tornanti, a sinistra del torrente del Nivolet. Raggiunta la Croce dell’Aroley (2310 m, 1 ora), ci si affaccia sul Piano del Nivolet, lungo quasi sei chilometri, che occorre percorrere verso il valico.
Si inizia a sinistra del torrente, si traversano dei lastroni rocciosi, si lascia a sinistra l’alpeggio Grand Collet (2403 m) dove arriva la strada sterrata. Il sentiero supera il torrente, tocca la Montagna Nivolet (2399 m, 1 ora), e raggiunge la strada dove questa diventa aperta al traffico. Con percorso monotono si raggiunge il Lago inferiore del Nivolet e lo si costeggia (segnavia 9) fino al rifugio Savoia (2534 m, 1 ora).
Si continua sulla strada che passa accanto al Lago superiore (2534 m), poi si devia a sinistra per il sentiero che porta al rifugio Città di Chivasso (2604 m, 0.30 ore), a poca distanza dal Colle del Nivolet. La discesa richiede 2.30 ore.

Rifugio città di chivasso

Cosa fare dal rifugio

Caccia fotografica: i dintorni del rifugio sono molto frequentati dagli stambecchi. In piena estate gli animali si incontrano più facilmente un po’ più in alto, lungo il sentiero che sale verso il Col Rosset.
Escursioni: la più frequentata conduce al Lago Rosset (2703 m, 1.30 ore a/r). I sentieri che salgono al Colle di Nivoletta (3152 m), al Col Rosset (3023 m) e al Col Leynir (3084 m) sono più lunghi, e includono dei tratti ripidi su sfasciumi o neve. A oriente del valico si può salire alla Costa di Mentà (2819 m) e alla Punta Violetta (3031 m, 3 ore a/r), altro belvedere sul Gran Paradiso.
Alpinismo: le panoramiche e non difficili vie normali della Punta Basei (3338 m, F), della Punta Fourà (3411 m, PD) e del Taou Blanc (3438 m, F+).
Scialpinismo: il rifugio si raggiunge per l’itinerario estivo, esposto a slavine nel primo tratto. Da qui si può salire alla Costa di Mentà (2819 m, BS), alla Punta Violetta (3031 m, BSA), alla Punta Basei (3338 m, BSA) e alla Punta Fourà (3411 m, BSA).

La guida

Scopri gli altri itinerari pubblicati nella guida I Rifugi della Valle d’Aosta

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