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Mese: Luglio 2019

Svalbard, il candore e i giochi del ghiaccio

Bianco, bianco e ancora bianco, ma con una miriade di sfumature che solo i più attenti osservatori possono percepire. È il colore che ricopre le imponenti montagne scolpite dal vento e decorate dal ghiaccio e che formano il paesaggio delle Svalbard, il cui nome significa “costa fredda”. Andiamo a farci un giro con la guida di Lucrezia Argentiero Il giro del mondo in 80 isole.

Perché tanto bianco? Perché queste isole sono a metà strada tra la Norvegia e il Polo Nord. Su in alto, quasi sul tetto del mondo, dove la luce artica vi affascinerà. Sia che si tratti del sole di mezzanotte, in estate, sia della notte polare, in inverno. Tuttavia, il periodo migliore per entrare in questo universo fatto di candore è sicuramente l’estate. Tutto torna ad essere il “luogo della luce”, con il sole a mezzanotte e i cieli tersi che svelano un paradiso naturalistico protetto con cura, mentre “avvampa” l’estate artica. Avvampa per modo di dire!

Comunque, nonostante siano così vicine al Polo Nord, l’arcipelago gode di condizioni climatiche piuttosto “calde”, soprattutto se paragonato ad altre zone alla stessa latitudine. Gran parte delle Svalbard sono coperte da ghiacciai, ma la corrente nord-atlantica mitiga il clima artico, mantenendo le acque tutt’intorno aperte e navigabili per gran parte dell’anno. Non siete convinti?
Volete sapere i gradi? Nell’isola di Spitsbergen (una delle più estese, insieme a Nordaustlandet, Barentsøya, Edgeøya e Prins Karls Forland), la temperatura media varia dai -15 dell’inverno ai +6 gradi della stagione estiva. Pensavate peggio vero?

I colori della capitale

In questi immensi spazi ci abitano meno di tremila anime fra cui minatori, pescatori, ricercatori, scienziati e operatori turistici. E sono concentrati per lo più a Ny-Ålesund e a Longyearbyen, la capitale, dove le case sono tutte molto piccole e molto colorate. Sono le uniche tonalità diverse dalle gradazioni di bianco che ritroverete in questo paesaggio. Guardando bene queste case, noterete subito che le fondamenta hanno una struttura particolare, adatta proprio all’Artico. Poiché il permafrost, il fenomeno del terreno quando è perennemente ghiacciato, rende la base dell’abitazione poco stabile e, al variare della temperatura ne modifica la compattezza e la solidità, facendo diventare dinamica la superficie. Così ogni casa è costruita su una sorta di palafitta a circa un metro di altezza dal suolo. E noterete anche che le chiavi sono inutili. Qui la gente esce di casa o dall’auto, senza chiudere nulla. Del resto dove si può scappare con un’auto rubata in queste isole?

guida Svalbard

Le attività sportive

Durante l’estate potrete abbinare un’escursione ad un giro in nave. Svalbard è perfetta, inoltre, per il kayak, da cui potrete ammirare le foche crogiolarsi sulle vicine lastre di ghiaccio. Nella stagione calda queste terre si popolano anche di un gran numero di uccelli marini nidificanti come urie, gazze, gabbiani, edredoni e le colorate pulcinelle di mare.
Se, invece, state pensando di andare alle Svalbard in inverno, potrete assistere al fenomeno delle aurore boreali, provocato dall’interazione di particelle cariche di origine solare con la ionosfera terrestre. Sarete spettatori del fascino della notte polare che prende il corpo e l’anima. Verde, giallastro, a volte con tonalità violacee o rosse che è la più rara e, forse, la più bella. Bisogna avere tanta pazienza, perché questo fenomeno non sempre è visibile. E vi servirà una buona dose di pazienza anche per scorgere la fauna artica: renne, volpi, pernici bianche, orsi polari e trichechi, mentre fate un safari in motoslitta o un giro con la slitta trainata dai cani.

guida Svalbard
Prima di ripartire non dimenticate di assaggiare lo stufato di renna. È una delle specialità che viene proposta da quasi tutti i ristoranti, accompagnato dal purè. Il fascino della natura selvaggia e incontaminata, dei paesaggi ovattati vi catturerà e vi rimarrà a lungo dentro, proprio come la magia del silenzio che non vi abbandonerà più. È la magia del Nord, del grande Nord.

La guida

Nella guida trovi inoltre preziosi consigli pratici su dove mangiare e dormire, curiosità e l’idea in più per una vacanza diversa dal solito. Buona lettura!

 

 

Trekking da Elcito a San Severino Marche | Alta Via delle Marche

Oggi vi presentiamo una delle tappe più belle dell’Alta Via delle Marche, quella che da Elcito arriva a San Severino Marche attraverso faggete secolari e infinite praterie. L’itinerario è tratto dalla guida A piedi sull’Alta Via delle Marche a cura di Nicola Pezzotta e Luca Marcantonelli.

La tappa odierna parte dal piccolo borgo di Elcito, arroccato in posizione strategica all’inizio della Valfucina e arriva, dopo una lunga e panoramica escursione, a San Severino Marche, la città più grande che si incontra durante l’Alta Via.

Lungo il percorso, che inizialmente corre nella Riserva Naturale del Monte San Vicino e del Monte Canfaito, si attraversano faggete antichissime in località Canfaito, luoghi di cruente battaglie partigiane, ricordate dal Monumento del Capitano e altopiani da cui si ammirano le dolci colline maceratesi da una parte e i monti dell’Appennino umbro-marchigiano dall’altra.

Scheda tecnica itinerario

Quota minima/massima da 230 a 1088 m
Dislivello 800 m in salita, 1390 m in discesa
Sviluppo 28,9 km (7% di asfalto)
Tempo
8 ore
Difficoltà EE
Segnaletica bianco-rossa 209, 209a, 169, 223, 208, 222, assente in alcuni tratti
MTB
Periodo consigliato tutto l’anno
Cartografia Carta dei sentieri Gruppo del Monte San Vicino, Monti Editore

Itinerario

Da Elcito al Monumento del Capitano

Dal Ristoro il Cantuccio di Elcito si scende sulla strada asfaltata (segnavia 209) che porta sul fondo della Valfucina. Voltando indietro lo sguardo, si nota bene la singolare posizione di Elcito. Al bivio si piega a sinistra e si continua a perdere quota fino a un altro bivio. Si imbocca a destra una strada sterrata (sempre segnavia 209) e, dopo cinque minuti, si incontrano i resti dell’Abbazia di Valfucina (750 m, 0.30 ore), nei pressi di un’azienda agricola. Qui, nel IX secolo, fu eretto un importante e potente monastero, di cui restano solo la chiesetta rimaneggiata e la cripta con capitelli di pregevole fattura.

Si passa accanto alle strutture dell’azienda agricola e si inizia a salire sul bel percorso che si inoltra nella faggeta risalendo il Fosso di Campocavallo. Superata l’azienda, al bivio si svolta a destra e la strada, con l’avanzare della salita, diventa sempre più stretta fino a trasformarsi in sentiero (900 m circa). In successione, si incontrano tre bivi: nei primi due si prende a destra, al terzo invece a sinistra. Si arriva a un incrocio nei pressi del Monumento ai Caduti (cartelli della Riserva, 1079 m, 1 ora) dove si imbocca la strada bianca a sinistra.
Giunti al bivio quota 1088 metri, si ignorano i segnavia 171 e si continua sulla strada bianca in direzione sud est. Il tracciato (ancora segnavia 209), per circa due chilometri, è per lo più pianeggiante e si inoltra tra esemplari di enormi faggi secolari e ampie vedute.

trekking elcito

Dopo aver superato la Fonte Trocchi di Canfaito, lungo il filare di faggi sulla sinistra della carrareccia si può individuare un faggio enorme: è il patriarca della Riserva con l’età invidiabile di circa 500 anni (1052 m, 0.30 ore).

Si prosegue sulla strada bianca che risale verso sinistra il dolce pendio e, finita la breve salita, si continua dritti seguendo i segnavia bianco- rossi 209. Arrivati al bordo sud est dell’altopiano (1088 m) la strada inizia a scendere verso nord est. Superata una serie di svolte, all’altezza di una curva più stretta (950 m) si lascia la strada e si prende verso sud l’esile traccia (segnavia 209a).

Questo sentiero diventa via via più evidente fino a trasformarsi in una carrareccia (794 m, 1.15 ore) e si va a congiungere alla traccia che sale da Valdiola Alta. Al bivio, dopo aver superato una recinzione di filo spinato, si scende seguendo la strada a sinistra (segnavia 169) fino al bivio successivo (719 m), cinquecento metri dopo. Si sale a destra lungo il sentiero (segnavia 223) che si sviluppa a mezzacosta sul versante est del Monte Pagliano. Si ignorano varie deviazioni e si continua dritti in salita fino a raggiungere il Monumento del Capitano (899 m, 0.45 ore).

Dal Monumento del Capitano a San Severino Marche

Dal monumento si risale la ripida e breve strada sulla sinistra che conduce ai Pantani di Matelica dove il paesaggio inizia a farsi grandioso con la veduta degli alti colli maceratesi. Si procede sul sentiero di crinale fino a scendere dal Campo della Bisaccia all’incrocio nei pressi del Casale Mannaiola (904 m). Si abbandonano i segnavia 223 e si prende la strada bianca sulla sinistra che sale inizialmente in modo lieve, poi più decisamente, sulle pendici del Monte Lavacelli, lungo i Prati di Gagliole. Bisogna fare attenzione perché non sono presenti segnavia in questo tratto. Al primo incrocio si piega a destra e al secondo, subito dopo, a sinistra. Superato un piccolo fosso secco e una macchia di bosco con postazioni fisse di caccia, si arriva al piccolo laghetto artificiale (977 m, 0.45 ore) tra il Monte Lavacelli e il Monte Marzolare.

Si procede in direzione sud est in mezzo ai ginepri per tracce di sentiero fino al limite del pianoro dove si incrocia una ripida carrareccia. Si scende fino a incontrare una strada bianca (832 m) sopra Valle dell’Elce che si imbocca a sinistra. Al crocevia (770 m) si continua verso sud est sulla strada (segnavia 208) che risale a mezzacosta il Monte Faeto. Si presentano due incroci a breve distanza: al primo (833 m) si prende a destra e al secondo (800 m) si prosegue dritti sui segnavia 222. Si percorrono due chilometri e mezzo a saliscendi in direzione sud est aggirando il Monte Pormicio.

Dopo essersi lasciati alle spalle anche il Dosso Vallonica, al bivio (676 m, 1.30 ore) si piega a destra (sud) sul sentiero che inizia a perdere quota ripido nel bosco di pini e abeti. All’incrocio quota 605 metri, si prende ancora a destra sempre verso sud fino a raggiungere una strada bianca che collega Serripola alla chiesa di Santa Maria delle Macchie. La si attraversa e si ritrova il sentierino (ancora segnavia 222) in mezzo agli arbusti che scende ripidamente a tornanti all’interno di una cava abbandonata. Dopo un chilometro e mezzo si incontrano la Strada Provinciale Septempedana, la ferrovia e il fiume Potenza (282 m, 1 ora).

Si percorre la strada per pochi metri verso est in direzione di San Severino Marche e poi si attraversa subito a destra la linea ferroviaria. Al crocevia si svolta a sinistra, si costeggia la ferrovia e si supera il fiume Potenza. Al bivio successivo (270 m), anziché salire all’interno della Valle dei Grilli, si piega a sinistra e si procede lungofiume per un paio di chilometri fino a Piazza del Popolo a San Severino Marche (230 m, 0.45 ore), termine della lunga tappa.

La guida

La guida ricca di bellissime foto e completa di info sulle strutture ricettive, le indicazioni per effettuare l’escursione in giornata e tante altre informazioni utili e approfondimenti

a piedi alta via delle marche

Vie ferrate nel Brenta: il Sentiero attrezzato Livio Brentari

Questo anello è senza dubbio tra i più belli e ambiti delle Dolomiti di Brenta. Alberto Campanile descrive il Sentiero attrezzato Livio Brentari nella guida Sentieri e Rifugi del Gusto. I sapori delle Dolomiti e delle Valli Trentine.

Inaugurato a metà del Novecento, il Sentiero Brentari è stato riattrezzato nel 2018. Non è una ferrata particolarmente impegnativa, tuttavia bisogna prestare attenzione ad alcuni passaggi esposti e ai tratti innevati o ghiacciati. Si consiglia quindi di portare con sé i ramponi.
Il percorso regala viste sorprendenti: dalla Cima d’Ambiez alla Cima dell’Ideale, dalla Cima Tosa al Campanil Basso, che appare come un monolito inespugnabile. Non c’è quindi da meravigliarsi se già nell’Ottocento questa guglia slanciata solleticò l’interesse dei migliori scalatori. Dopo varie ricognizioni e tentativi, fu salita per la prima volta il 18 agosto del 1899 da Otto Ampferer e Karl Berger, per una via di secondo e terzo grado con tratti di quarto. In occasione del centenario, 17 guide alpine e altrettanti personaggi si legarono in un’unica stravagante cordata, guidata da Cesare Maestri. Quando il “Ragno delle Dolomiti” raggiunse la cima, l’ultimo della cordata iniziò la scalata.

Scheda tecnica itinerario

Punto di partenza e di arrivo Rifugio Agostini (2410 m)
Tempo 6 ore
Dislivello 570 m
Difficoltà EEA = Escursionistico per Esperti con Attrezzatura. Rientrano in questa categoria i sentieri e le vie ferrate da affrontare con casco, imbragatura, dissipatore, cordini e moschettoni (Set da ferrata).
Periodo consigliato da fine giugno a fine settembre
Segnaletica 325B, 320, 358
Cartografia Tabacco foglio 053 Dolomiti di Brenta

Accesso

L’accesso più agevole è dal Rifugio al Cacciatore (1820 m, tel. 331. 8482279, www.rifugiocacciatore.it). A questo si può accedere a piedi da San Lorenzo in Banale (circa 2.30 ore), oppure, come fa la gran parte degli escursionisti diretti al Rifugio Agostini, usufruendo del servizio effettuato con mezzi fuoristrada (solo nel periodo estivo, su prenotazione, chiedere informazioni al Rifugio Agostini). Si parte dalla località Baesa (seguire le indicazioni Val d’Ambiez), a tre chilometri da San Lorenzo in Banale, in prossimità del Bar Ristoro Dolomiti di Brenta (865 m, tel. 0465.734052).

Itinerario

Dal Rifugio Agostini (2410 m) si percorre in discesa la carrareccia che lo collega al Rifugio al Cacciatore (segnavia 325B). Al secondo tornante si piega sulla sinistra per il Sentiero Elio Palmieri (segnavia 320) e si continua per faticosi ghiaioni fino alla Forcolotta di Noghera (2415 m, 1 ora). Si devia sulla sinistra (segnavia 320, rocce ed aree erbose), fino a un bivio dove si ignora il tracciato di destra (segnavia 326) e si prosegue piegando a sinistra per il sentiero 320.

Arrivati ad un secondo bivio (2300 m circa, 0.40 ore) ci sono due possibilità: a destra si procede per il meno impegnativo Sentiero Elio Palmieri Basso, mentre a sinistra si continua per il nuovo Sentiero attrezzato Mariella Apolloni (ex Sentiero Elio Palmieri Alto), dedicato alla mamma di Roberto, l’attuale gestore del Rifugio Agostini. Entrambi i tracciati convergono sul Sentiero attrezzato Livio Brentari, a pochi metri di distanza. Per il Sentiero Palmieri Basso (segnavia 320) si scende senza difficoltà, ad esclusione di un breve tratto che richiede cautela (20 metri, corda metallica). Aggirata la Pozza Tramontana, si risale senza particolari insidie al Sentiero Brentari (0.50 ore).

Se invece si opta per il Sentiero attrezzato Apolloni, dal bivio con il Sentiero Palmieri Basso (2300 m circa) si sale sulla sinistra (segnavia 320B) per cenge piuttosto esposte, dotate di cavi e di gradini metallici di recente posizionati. Superato un breve canale roccioso munito di staffe e cavi metallici, si giunge al termine della parte attrezzata. Si procede lungo un tracciato evidente privo di difficoltà su pietraie. Giunti ai piedi della Brenta Bassa, si devia a destra sul Sentiero Brentari. Questo tratto su sentiero attrezzato richiede lo stesso tempo del Sentiero Palmieri Basso (0.50 ore).

A questo punto si procede agevolmente fino ai Rifugi Tommaso Pedrotti (2491 m, 0.20 ore) e Tosa (2439 m). Si riprende il sentiero 358 appena percorso fino a lasciare sulla sinistra prima la deviazione per il Sentiero Elio Palmieri Basso, poi quella per il Sentiero attrezzato Apolloni. Si procede per ghiaie su terreno aperto verso la Cima Tosa e l’omonima vedretta; attraversato con cautela il nevaio, la cui estensione negli ultimi anni si è notevolmente ridotta, si sale alla Sella di Tosa (2859 m, punto più elevato dell’itinerario, 1.30 ore), affacciata sulla Val d’Ambiez.

Si continua verso ovest fino ad un canale dotato di cavi (il vecchio ponticello è stato rimosso) e ad alcune cenge esposte, opportunamente attrezzate. Arrivati alla Bocca di Tosa (2845 m, 0.20 ore) si scende per un centinaio di metri su rocce dotate di attrezzature (cavi metallici, pioli e scale), fino alla Vedretta d’Ambiez, dove termina la ferrata. Si attraversa con cautela il nevaio verso ovest (tracce), sotto la Cima d’Ambiez, e si continua fino a raggiungere le ghiaie e il sentiero (segnavia 358) che scende al Rifugio Agostini (2410 m, 1.20 ore).

La guida

Ecco la nuova guida Sentieri e Rifugi del Gusto. I sapori delle Dolomiti e delle Valli Trentine con con 24 itinerari a piedi con descrizione, mappa e bellissime foto e tanti approfondimenti e curiosità

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La Capanna Giovanni Gnifetti | Itinerari Monte Rosa

A 3647 metri, la Capanna Gnifetti è la base di partenza per i 4000 del versante sud del Monte Rosa. Gli itinerari per raggiungerla sono descritti nella nuova guida I Rifugi della Valle d’Aosta.

Più di due secoli fa, i primi alpinisti che si avventuravano tra i ghiacciai del Monte Rosa utilizzavano per i loro bivacchi la cresta che separa il Ghiacciaio di Garstelet dalla imponente colata del Ghiacciaio del Lys. Nello stesso punto, nel 1876, è sorto il rifugio più frequentato del massiccio, utilizzato da migliaia di alpinisti ogni anno prima della salita alla Punta Gnifetti e alla Capanna Margherita. Il comfort del rifugio sarebbe discreto se l’affollamento non fosse molto elevato. Molti alpinisti preferiscono il rifugio Città di Mantova.

Gli escursionisti devono fare attenzione nell’ultimo tratto, che taglia un ripido pendio glaciale. Il rifugio ricorda Giovanni Gnifetti, parroco di Alagna e tra i primi esploratori del Monte Rosa. Il panorama è ampio e interessante verso il Ghiacciaio del Lys, il Castore e il Lyskamm. In lontananza appaiono il Monte Bianco e i massicci delle Alpi Graie. I pendii del Ghiacciaio del Lys nascondono le vette più elevate del Rosa. Incombe la Pyramide Vincent.

Coordinate satellitari 45°53’59’’N – 7°50’59’’E
Posti letto 176
Locale invernale 4 posti letto
Proprietà CAI, sezione di Varallo Sesia, 0163.51530, www.caivarallo.it
Gestione MBG srl
Telefono 348.1415490
Web
www.rifugimonterosa.it
Mail
info@rifugimonterosa.it
Apertura
da metà marzo ai primi di maggio, e da metà giugno ai primi di settembre
Accesso a piedi da Punta Indren (1.45 ore) o dal Passo dei Salati (1.30 ore)
Famiglie con bambini è obbligatorio tenere d’occhio i ragazzi sulle rocce dello Stolemberg e sul Ghiacciaio di Indren, ed è bene legarli in cordata se il ghiaccio affiora sul Ghiacciaio di Garstelet. Prestare molta attenzione alla quota, anche a causa della veloce salita in funivia.

Itinerario Da Gressoney-la-Trinité alla Capanna Gnifetti

370 m di dislivello, 2.30 ore a/r, EE/F
L’itinerario per salire alla Capanna Gnifetti dal versante di Gressoney coincide in buona parte con quello per il rifugio Città di Mantova. È un percorso di alta montagna, che può richiedere l’uso della piccozza e dei ramponi. Da Gressoney-la-Trinité si sale in cabinovia al Gabiet e al Passo dei Salati, e poi in funivia alla conca (3260 m) nei pressi di Punta Indren. Si continua a piedi su una traccia (segnavia 6C) che traversa un’elementare lingua del Ghiacciaio di Indren e porta alla base di una modesta fascia di rocce che lo separa da quello di Garstelet.

Qui si lascia a sinistra il sentiero basso per il rifugio Città di Mantova, e si segue il sentiero di destra (“sentiero delle roccette”, segnavia 6A), che obliqua tra placche rocciose levigate, sale (corde metalliche e gradini) in un canalino ed esce dalla bastionata accanto a una croce (3560 m). Una pista sul Ghiacciaio del Garstelet porta alle rocce dov’è la Capanna Gnifetti (3647 m, 1.30 ore). L’ultimo tratto, che taglia un pendio piuttosto ripido, richiede attenzione. La discesa per questo stesso itinerario richiede 1 ora.

Da Alagna Valsesia alla Capanna Gnifetti

390 m di dislivello, 2.30 ore a/r, EE/F
L’itinerario che conduce da Punta Indren alla Capanna Gnifetti coincide in buona parte con il precedente. Da Alagna Valsesia si sale in funivia a Punta Indren (3257 m). Si prosegue a mezza costa fino all’arrivo della funivia (3260 m) che sale da Gressoney. Da qui, con l’itinerario precedente, si sale alla Capanna Gnifetti (3647 m, 1.45 ore). La discesa richiede 1.15 ore.

Cosa fare dalla Capanna Gnifetti

Alpinismo: l’itinerario d’alta quota più frequentato delle Alpi conduce al Colle del Lys (4248 m) e alla Punta Gnifetti (4554 m), sulla quale sorge la Capanna Margherita. Anche se si tratta di un percorso facile (F) il ghiacciaio è tagliato da numerosi crepacci. È quindi necessario procedere in cordata e conoscere le tecniche di assicurazione e recupero. Sono molto frequentate anche le vie normali della Pyramide Vincent (4215 m, PD), del Corno Nero (4321 m, PD), della Punta Parrot (4436 m, PD), e del Lyskamm orientale (4527 m, AD). Si possono raggiungere la Punta Zumstein (4563 m, PD) e la Punta Dufour (4633 m, AD), la più elevata del Rosa. Dal Colle del Lys si raggiungono le vie di ghiaccio (da D in su) della parete Nord del Lyskamm. Classica e interessante è anche la traversata (PD/AD) verso la Monte Rosa Hütte e Zermatt, che fa parte dell’anello intorno al Rosa.

Scialpinismo: gli itinerari che conducono alla Capanna Margherita (4554 m, MSA) e alla Pyramide Vincent (4215 m, BSA) e la traversata verso la Monte Rosa Hütte e Zermatt, frequentati anche con le pelli di foca, si svolgono in uno straordinario paesaggio di alta montagna e richiedono esperienza a causa della quota e dei crepacci.

Foto: Giorgio De Dominici

Scopri gli altri rifugi e itinerari pubblicati nella guida I Rifugi della Valle d’Aosta

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Dalla Malga Venegia alla Baita Segantini e alla Capanna Cervino

Questa facile escursione sulle Pale di San Martino è tra le più amate e frequentate della zona. Alberto Campanile descrive l’itinerario nella guida Sentieri e Rifugi del Gusto. I sapori delle Dolomiti e delle Valli Trentine.

L’escursione sulle Pale di San Martino che proponiamo oggi, oltre agli splendidi panorami sulle pareti e sulle guglie delle Pale di San Martino, la Val Venegia, e in particolare il Campigol di Vezzana, sorprende per la straordinaria ricchezza floristica. Gli appassionati di botanica hanno modo di ammirare le splendide e molteplici fioriture alpine tra le quali spicca la rara Genzianella di Carinzia oltre alle specie endemiche della Primula tirolese e della Campanula morettiana. In tutto nella zona sono state censite oltre 500 specie botaniche.

Scheda tecnica itinerario

Punto di partenza Malga Venegia (1778 m)
Punto di arrivo Capanna Cervino (2082 m)
Tempo 1.45 ore andata, 1.20 ore ritorno
Dislivello 400 m in salita, 90 m in discesa
Difficoltà T
Periodo consigliato da giugno a ottobre
Segnaletica cartelli e 710A
Cartografia Tabacco foglio 022 Pale di San Martino

Accesso

La Malga Venegia si raggiunge agevolmente a piedi dal parcheggio sulla strada del Passo Valles, in località Pian dei Casoni (0.20 ore, T, adatto anche a bambini).

escursione sulle pale di san Martino
Le specialità offerte da Malga Venegia

Itinerario

Dalla Malga Venegia (1778 m) si imbocca l’ampia carrareccia parallela allo spumeggiante torrente Travignolo. Si cammina pressoché in piano mentre davanti si apre il meraviglioso scenario delle Pale di San Martino, con il Cimone della Pala che svetta sulla destra. Si continua sempre in piano fino alla Malga Venegiota (1824 m, 0.20 ore, prodotti tipici, tel 0462.576044).
Per una frequentata strada sterrata si sale a Campigol della Vezzana dove, sulla sinistra, si stacca il sentiero 710 per il Rifugio Volpi al Mulaz che si ignora. Si prosegue verso destra superando ben undici tornanti, in parte evitabili seguendo le tracce nei prati, fino all’idilliaca Baita Segantini (2170 m, 1.10 ore), adagiata all’ombra del Cimon della Pala, dalla quale si gode uno dei più bei panorami sulle Pale.
Da qui, risalito il vicino Passo Costazza (2174 m), si scende per comoda strada bianca alla Capanna Cervino (2082 m, 0.15 ore, servizio d’alberghetto, cucina tradizionale, tel. 0439.769095 o 340.0747643, www.capannacervino.it).
Si torna a Malga Venegia per lo stesso itinerario (1.20 ore).

La guida

Ecco la nuova guida Sentieri e Rifugi del Gusto. I sapori delle Dolomiti e delle Valli Trentine con con 24 itinerari a piedi con descrizione, mappa e bellissime foto e tanti approfondimenti e curiosità

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Pantelleria: capperi, che isola!

Inseguendo i profumi e sapori d’Africa approdiamo a Pantelleria. Lucrezia Argentiero la racconta nella guida Il giro d’Italia in 50 isole.

La luna? Meglio Pantelleria. Parola del premio Nobel Gabriel Garcia Marquez.
Ricordo come in un sogno le pianure interminabili di roccia vulcanica, il mare immobile, la casa dipinta a calce fin negli scalini, dalle cui finestre si vedevano nella notte senza vento i fasci luminosi dei fari dell’Africa […] e avevamo fatto il bagno in una gora fumante le cui acque erano così dense che si poteva quasi camminarci sopra. Io pensavo con una certa nostalgia premonitrice che così doveva essere la Luna. Ma lo sbarco di Armstrong aumentò il mio orgoglio patriottico. Pantelleria era meglio“.
Aveva ragione lo scrittore e lo constaterete anche voi: l’isola è davvero un paradiso terrestre, situato a due passi dall’Africa e vicino alla Sicilia (che i panteschi indicano come la “nostra terra ferma“). Ovunque ritroverete, complice un vento che non smette mai di soffiare, il profumo d’Africa, che riempie tutti i pori della pelle, s’insinua prepotentemente tra le alcove avvolgenti, le finestre anguste e i tetti a cupola dei dammusi, le case pantesche divenute il simbolo architettonico dell’isola.

Profumo d’Africa

Questo lembo di terra (la più grande delle isole minori siciliane, con poco più di 80 chilometri quadrati e meno di ottomila abitanti) è davvero vicinissimo al continente nero. A soli settanta chilometri a sud c’è già la costa tunisina con Capo Mustafà, mentre l’Italia è più distante, centodieci chilometri.

Che Pantelleria sia un pezzo d’Africa naufragato ai confini dell’Europa, non si smette mai di percepirlo, sia che soffi lo scirocco o il maestrale, sia nella parlata degli abitanti. Lo si nota anche nella grafia ricca di impronunciabili consonanti di alcune delle sue undici contrade (Khamma, Rekhale, Gadir, Bukkuram, Bugeber) e ancora nei suoi piatti tradizionali, come la sciakisciuka (una specie di caponata a base di melanzane, patate, peperoni, pomodori e cipolla) o la cuccurummà (zucchine stufate con cipolla e pomodoro) e il cous cous di pesce accompagnato da un brodo con cui va “bagnato“ a piacimento, che è molto simile a quello tunisino.

viaggio a pantelleria

Così al primo impatto la “perla nera“ del Mediterraneo suscita sempre effetti contrastanti: amata e odiata senza mezze misure. Sarà per quel colore scuro e intenso, dovuto alla sua origine vulcanica. Oppure per quel mare blu cobalto che avvolge tutto e che, subito profondo, può sembrare inaccessibile. Sarà perché non è il posto giusto per il divertimento notturno.

La guida

Nella guida trovi tante altre informazioni, preziosi consigli pratici su dove mangiare e dormire, curiosità e l’idea in più per una vacanza diversa dal solito. Buona lettura!

guida alle isole d'italia

Salina, il polmone verde delle Isole Eolie

Salina è come una creatura poetica. E come tale è un insieme di emozioni che non ha bisogno di spiegazioni. Per capirla veramente bisogna farne esperienza diretta. Solo così potrete emozionarvi e imparare a viverla e a gustarla. Lucrezia Argentiero la racconta nella guida Il giro d’Italia in 50 isole.

La sensazione che proverete, una volta sbarcati sull’Isola di Salina, seconda per estensione dopo Lipari fra le sette sorelle dell’arcipelago delle Eolie, è nelle parole d’amore di un poeta contemporaneo, Guido Catalano: “Il tuo corpo è un’isola segreta lontana. Facciamo che sono un naufrago. Mi sveglio sulla spiaggia. È mattina. Non ho nessunissimo bisogno di essere salvato“. Già altri scrittori e poeti hanno dedicato parole e versi d’amore a questo incantevole fazzoletto di terra. “Quando la spieghi la poesia diventa banale, meglio di ogni spiegazione è l’esperienza diretta delle emozioni“. Queste le parole di Pablo Neruda, interpretato da Philippe Noiret, nel film Il Postino, il capolavoro di Massimo Troisi, alias Mario. Gran parte delle scene è stata girata proprio qua.

Sulla scia dei sapori

È una terra di contadini. Il polmone verde dell’arcipelago, ricca d’acqua e circondata da spiagge nere di sabbia vulcanica. Un giardino appollaiato nell’acqua, con maestosi castagni e un fitto sottobosco dove a settembre crescono funghi di diverse specie.
Sulle pendici delle sue montagne – il cui suolo vulcanico rende tutto più dolce – fino al bordo delle scogliere, si coltivano uve pregiate. È qui che si produce la “malvasia“, un vino ambrato dal sapore gradevole, apprezzato anche dai palati più raffinati ed esigenti. Vale la pena fare un tour guidato con degustazione nelle numerose cantine, tra cui Fenech a Malfa (solo su prenotazione, www.fenech.it), o nell’azienda agricola Carlo Hauner a Lingua (www.hauner.it).

Non solo viti. Su queste terre baciate dal sole, si producono anche capperi e i ricercati frutti della sua pianta, i cucunci, che, raccolti nel mese di giugno, vengono conservati sott’olio e sotto sale. E non mancano nemmeno i pomodorini. Sono gli stessi che danno il giusto sapore al pane “cunzato“, tipico piatto dell’isola arricchito sempre in maniera diversa, ma colmo di sapori mediterranei. Cosa è? Si tratta di un’invitante e gigantesca mezza pagnotta cotta artigianalmente e condita, tra le altre cose, con origano, capperi e cucunci, nelle varianti con tonno, ricotta infornata, melanzane e altri prodotti tipici dell’isola.

Vi è già venuta l’acquolina in bocca? Il posto giusto per gustare questa prelibatezza è proprio nella piazza che dà sul laghetto nel paese di Lingua: il bar Alfredo. Qui oltre al pane “cunzato“, da non perdere l’immancabile cremosa granita senza l’aggiunta di ghiaccio, ma fatta solo con l’utilizzo di frutta di stagione. È un vero trionfo di profumi e di colori: melone, fragola, arancia, gelsi, anguria, limone, pesca e fichi d’india. Non mancano le versioni classiche al latte di mandorla e al caffè. Da tanta e meritata gloria è nato persino un ristorante, “Alfredo in cucina“, considerato ormai una delle tappe gastronomiche di Salina.

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Sui passi de Il Postino

E per tuffarvi in mare? Andate alle “Balate“, scendendo per una scalinata di pietra, nella zona nord dell’isola. Da qui potrete anche ammirare l’arco naturale di Perciato che sprofonda nel blu. A pochi minuti a piedi da Malfa, uno dei tre centri abitati di Salina, vi attende la Spiaggia dello Scario. Piccolo angolo di paradiso dove i ciottoli sono incorniciati dalla macchia mediterranea e dal mare azzurro e cristallino. Qui un tempo attraccavano i velieri in rotta verso le coste della Campania. La Spiaggia di Santa Marina, invece, sul lato orientale dell’isola, comoda e semplice da raggiungere, si presenta con grossi sassi levigati e acque dall’intenso colore turchese.

Per fare il pieno di poesia, invece, raggiungete la Spiaggia di Pollara (solo con le barche che partono da Santa Maria). È un’insenatura incastonata nella spettacolare falesia di tufo a strapiombo sul mare, di certo la spiaggia più affascinante dell’isola. Un luogo selvaggio, una lunga striscia di sabbia e ciottoli scuri, chiusa fra alte scogliere, dove ci sono i minuscoli ricoveri dei pescatori scavati nella roccia vulcanica. Infine, dulcis in fundo, la più nota: la “Spiaggia del Postino“. Da ammirare dal mare o dalla barca, facendo un’escursione. Qui, sul costone della baia che scende verso il Perciato, c’è la casa rosa del poeta Pablo Neruda, proprio quella del celebre film. Sembra quasi di vedere ancora Massimo Troisi nei panni di Mario, il poeta protagonista del film Il Postino, mentre arranca silenzioso in bicicletta verso l’abitazione.
Una volta vissuta l’isola, sarà difficile andarsene via senza portarne un pezzetto nel cuore. È questo l’effetto che fa sempre Salina.

La guida

Nella guida trovi inoltre preziosi consigli pratici su dove mangiare e dormire, curiosità e l’idea in più per una vacanza diversa dal solito. Buona lettura!

guida alle isole d'italia

Viaggio in Islanda, un sogno che si avvera

Alla scoperta dei paesaggi spettacolari islandesi con Lucrezia Argentiero e la sua guida Il giro del mondo in 80 isole.

Il desiderio di un viaggio in Islanda fa venire in mente un ritornello di tanti anni fa. Non voglio mica la luna, chiedo soltanto di stare in disparte a sognare cantava Fiordaliso. Ma perché limitarsi a sognare? Non c’è bisogno di nessun missile e nemmeno di chissà quale impresa impossibile. Una volta giunti in Islanda, la sensazione di essere sulla luna sarà la stessa, perché vi sembrerà di essere in un luogo di confine tra il mondo terreno e quello sovrannaturale.

Un luogo vicino al circolo polare artico e costellato da paesaggi impossibili da dimenticare: i colori dominanti del nero della lava e il giallo-verde degli incredibili prati di muschio. Si sceglie questa isola – le temperature raramente superano i 15 gradi anche in pieno luglio, e pioggia e nebbia sono sempre presenti – se avete voglia di trasformarvi in pionieri avidi di paesaggi spettacolari. Si va per vivere insieme atmosfere glaciali e infuocate. E per godere degli spettacoli della natura in ogni stagione.

I colori della luce

Vi accorgerete subito del cambio di luce a ogni passaggio di nuvole, quasi sempre sotto un cielo tempestoso. Impetuosa e aggressiva, quando è in balia del vento. Silenziosa e ovattata, nel gelo dell’inverno. Brillante e luminosa nei colori estivi. Ha pochissimi alberi, ma è ricca di vulcani in attività, geyser, cascate mozzafiato, lagune termali e glaciali e verdi vallate, ma anche sorgenti calde e le sculture di lava come il castello nero di Dimmuborgir, detta anche la Fortezza oscura, un labirinto lavico fatto di colonne, pareti e archi.
Buona parte è disabitata. Del resto diventa difficile viverci: sono solo duecentosettantamila gli abitanti e più della metà sono concentrati nella capitale Reykjavik. Alcuni dei vulcani sono ancora attivi, come il Krafla presso il Lago Myvatn, l’Hekla, nel sud-ovest; altri sonnecchiano al di sotto di un ghiacciaio, come l’Öraefi, creando labirinti di tunnel e grotte, con il contrasto freddo e caldo. Avete ancora voglia di meravigliarvi? Allora spostatevi sulle coste occidentali della penisola di Tjörnes. Con un’escursione in barca, potreste avere la fortuna di avvistare le balene. Chi l’ha detto che la Luna è irraggiungibile?

L’idea in più

Se siete alla ricerca del comfort, l’ideale è la spa Blue Lagoon, una piscina di acqua geo-termale curativa, immersa nel vapore, al centro di un campo di lava nerissima. www.bluelagoon.com

Curiosità

In questo panorama surreale ci sono le zone geotermiche da cui sgorga un’acqua calda che, mescolandosi con quella fredda, crea piscine naturali dove è possibile fare un bagno all’aria aperta. La sensazione di libertà è straordinaria. In agosto si aggiunge un altro spettacolo: a sud nidificano milioni di uccelli marini. Nei primi giorni del mese, spiccano il volo i piccoli per la prima volta tutti insieme.

La guida

Nella guida trovi inoltre preziosi consigli pratici su dove mangiare e dormire. Buona lettura!

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