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Mese: Luglio 2017

La Direttissima per il Corno Grande descritta da Stefano Ardito

Tra gli itinerari più famosi del Gran Sasso, la Direttissima è la via del Corno Grande più ambita dagli escursionisti, e viene utilizzata in discesa dagli alpinisti arrivati in cima per vie più impegnative. Stefano Ardito la descrive nella guida Sentieri nel Parco Nazionale Gran Sasso-Laga.

Individuata da un gruppo di alpinisti romani nei primi anni del Novecento, risale il versante meridionale della Vetta Occidentale per paretine e canalini che zigzagano tra dei bizzarri torrioni e che offrono dei tratti I e dei passaggi di II grado.

Occorre sapersela cavare con le mani sulla roccia, e gli inesperti devono essere fatti salire in cordata. La parte bassa è esposta alla caduta di sassi. Si deve fare attenzione, ed è bene indossare il casco.

Scheda tecnica itinerario

Dislivello 810 m
Tempo di salita 2.30 ore
Tempo di discesa 2.15 ore
Difficoltà EE/F (passaggi su roccia di I e II grado)
Segnaletica bianco-rossa 103 e 104, vecchi segnavia gialllo-rossi 3 e 3A, triangoli verdi
Periodo consigliato da luglio a fine settembre

Accesso

L’Albergo di Campo Imperatore (2130 m, E381551-N4700122) si raggiunge in auto o in funivia da Fonte Cerreto, o con percorsi più lunghi da Santo Stefano di Sessanio, Castel del Monte o Farindola.

La Direttissima per il Corno Grande

Itinerario di andata

A piedi si segue il viottolo che tocca il Giardino Botanico e l’Osservatorio e prosegue verso il rifugio Duca degli Abruzzi. Al primo bivio si va a destra sul sentiero (segnavia 3) che traversa ai piedi della Cresta della Portella ed entra in una conca dominata dal Monte Aquila. Dei tornanti su terreno ripido portano alla Sella di Monte Aquila (2335 m, E381553-N4701437, 0.45 ore).

Al bivio sul valico si lasciano a sinistra i sentieri per il rifugio Garibaldi, il rifugio Franchetti, la Sella del Brecciaio e la via normale del Corno Grande, e si sale a destra sul crinale (segnavia 104 e 4), in direzione di Monte Aquila. Più avanti il sentiero traversa a sinistra e raggiunge a mezza costa la Sella di Corno Grande (2421 m, E382023-N4702218), affacciata sulla Valle dell’Inferno.

Una ripida e faticosa salita per ghiaie, dove occorre scegliere la traccia di sentiero più comoda, porta alla base del visibilissimo Sassone (2500 m), e a una cresta orizzontale di rocce e ghiaie. Sulla cresta, o sulla sua sinistra, si raggiunge un bivio (2600 m, E382036-N4702728, 1.30 ore) alla base del ripido e roccioso versante Sud della montagna. Verso est, da qui, si ammira un bel panorama sulla profonda Valle dell’Inferno e sulla costiera del Monte Camicia e del Monte Prena.

Si lascia a destra il sentiero attrezzato che traversa verso il Bivacco Bafile, e si inizia a salire direttamente in un profondo canalone roccioso, indicato da triangoli verdi e che offre dei facili e divertenti passaggi di arrampicata (I grado).

Un canalino porta a destra a una terrazza alla base di una paretina più compatta. È anche possibile evitare il canalone iniziale e salire sulla verticale del bivio, per tracce di sentiero a zig zag e facilissime rocce.

Si ritrovano i segnavia alla base della paretina. La si supera raggiungendo e seguendo un canalino (15 m, II grado all’inizio), si continua per un canale più profondo (passo di II grado all’uscita) e si sbuca su un pendio ghiaioso. Seguendo i segni ci si sposta verso sinistra, si imbocca un canale di roccia friabile, si piega verso destra per una rampa e si raggiunge un intaglio affacciato al di là su un profondo canalone.

Si supera una placca di roccia compatta (II grado), si traversa a destra con una spaccata un po’ esposta e si prosegue per un elementare canalino ghiaioso. Rocce e tracce di sentiero sulle ghiaie portano alla Vetta Occidentale del Corno Grande (2912 m, E382141-N4703078, 1 ora).

La Vetta Occidentale del Corno Grande

Itinerario di discesa

In discesa si segue l’evidente sentiero che si abbassa poco a sinistra della cresta. Dopo pochi minuti raggiunge un bivio, dove si può scegliere tra la via normale (più facile, ma esposta alla caduta di sassi) e la cresta Ovest.

Nel primo caso si segue il sentiero di destra fino a una sella affacciata sul Ghiacciaio del Calderone, e poi ci si abbassa con cautela per ghiaie e lastroni rocciosi, in direzione del Corno Piccolo, fino a raggiungere un ampio sentiero a mezza costa, che si segue a sinistra traversando la Conca degli Invalidi.

In alternativa, dal bivio poco sotto alla vetta, ci si tiene a sinistra sul sentiero che raggiunge la cresta Ovest, che alterna tratti ghiaiosi ad altri rocciosi. Dopo un tratto elementare si scende a destra in un canalino (passi di I grado, mancorrente), si torna alla cresta, e si continua superando tratti elementari e altri che richiedono l’uso delle mani.
Traversato un lastrone, un sentiero sulle ghiaie riporta alla via normale (2600 m).

Un comodo sentiero scende a svolte fino alla Sella del Brecciaio, e poi si abbassa verso Campo Pericoli superando dei tratti scomodi. Si lascia a destra il sentiero per il rifugio Garibaldi, poi si raggiunge la base (2350 m) di uno sperone calcareo noto agli alpinisti come la Pera. Una diagonale in leggera salita riporta alla Sella di Monte Aquila. Sul sentiero dell’andata si torna all’Albergo. In entrambi i casi occorrono 2.15 ore.

Foto Matteo Mazzali

La guida

Questo è solo uno dei 120 itinerari descritti con mappe e foto della guida Sentieri nel Parco Nazionale Gran Sasso-Laga

sentieri-gran-sasso-laga

Dalla Testa Grigia al Breithorn occidentale

Tra gli itinerari della guida I 50 sentieri più belli della Valle d’Aosta non poteva certo mancare questo classico 4000 delle Alpi: il Breithorn occidentale. Gli autori, Stefano Ardito e Cesare Re, ce lo presentano così.

Il Breithorn occidentale, che precipita sul versante svizzero con una imponente muraglia di ghiaccio e roccia, ha un aspetto più domestico sul versante italiano, in Valtournenche, dove l’accesso ai suoi pendii è facilitato dagli impianti del Plateau Rosà.
Anche per questo motivo, il Breithorn è considerato il più facile tra i “quattromila” delle Alpi. I suoi pendii glaciali, però, presentano crepacci e seracchi. La salita alla vetta richiede quindi attrezzatura alpinistica d’alta quota, con corda, piccozza e ramponi. Inoltre bisogna avere dimestichezza con la progressione su ghiacciaio e in cordata. Per alcuni questa salita può essere il battesimo dei 4000 metri, per altri l’unica, o quasi, esperienza ad alta quota sull’arco alpino. Vastissimo e impressionante il panorama dalla vetta, che include tutto il gruppo del Monte Rosa, il Cervino, la Dent d’Hérens e le lontane vette del Monte Bianco e del Gran Paradiso.

Alpinisti in cordata sul Colle del Breithorn occidentale

I rifugi

Salendo con gli impianti della Testa Grigia, ci si trova improvvisamente a 3480 metri, già proiettati verso l’alta quota. Questo è un vantaggio, ma anche un problema, visto che non c’è possibilità di acclimatamento ed è possibile subire gli effetti del mal di montagna. Può valere la pena, quindi, di dormire una notte nel rifugio del Teodulo o nel rifugio Guide del Cervino, acclimatandosi almeno in parte alla quota.

rifugi della valle d'aosta
L’attuale e spazioso rifugio del Teodulo, di proprietà della sezione di Torino del CAI, sorge nel luogo in cui il valdostano Pierre Antoine Meynet, nel 1852, costruì il primo rifugio della Vallée, sfruttando i resti delle fortificazioni del duca Amedeo II di Savoia (risalenti al 1688) e del rudimentale ricovero utilizzato nel 1792 da Horace-Bénédict de Saussure. Nonostante la presenza degli impianti e delle piste da sci, il panorama dalle finestre del rifugio è straordinario verso il Cervino e le Grandes Murailles.

La guida

La descrizione dettagliata dell’itinerario completa di mappa è pubblicata nella guida I 50 sentieri più belli della Valle d’Aosta

Esce la guida “I 50 sentieri più belli della Valle d’Aosta”

Da oggi disponibile su www.iteredizioni.it, e nei prossimi giorni anche in edicola, in libreria e in tutti gli store online I 50 sentieri più belli della Valle d’Aosta, la nuova guida di Stefano Ardito e Cesare Re.

Stambecchi e castelli, vette di 4000 metri e ghiacciai. Quando si pensa alla Valle d’Aosta, il “tetto” delle Alpi italiane, vengono in mente le colate e i crepacci del Monte Bianco e del Rosa, il profilo severo del Cervino, i fortilizi medievali di Fénis, di St-Pierre e di Verrès. Nel Parco nazionale del Gran Paradiso, nel Parco naturale del Mont Avic e altrove nella Vallée, oltre agli stambecchi, si vedono cervi, camosci, aquile e le onnipresenti marmotte. Gli ultimi, graditi ritorni sono quelli del gipeto e del lupo.
Gli escursionisti che scelgono la Valle d’Aosta come meta, però, scoprono molte altre attrattive. I fiori che colorano i prati tra giugno e luglio, e le stelle alpine che compaiono tra le rocce più in alto. Gli alpeggi ancora utilizzati per il bestiame, e le mura diroccate di quelli in rovina. I panorami che si aprono dalle vette minori, dai valichi, dagli altopiani come la Conca di By o il Combal.

Anche chi ama la storia è servito

Mentre la Via Francigena, nel suo viaggio da Canterbury a Roma, tocca decine di castelli e di borghi, a quote più alte si incontrano ospizi, santuari, strade antiche intagliate nella roccia. Nelle valli del Gran Paradiso compaiono le mulattiere e le “strade di caccia” di Vittorio Emanuele II. Il Gran e il Piccolo San Bernardo sono delle piccole enciclopedie di storia alpina.

I rifugi

Poi ci sono i rifugi, e ci si potrebbe scrivere un libro. Le vecchie e rudi capanne d’alta quota, che offrivano poche ore di sonno agli alpinisti diretti alle cime, hanno lasciato il posto a realtà ben diverse. Nei rifugi valdostani, provare per credere, si cena davanti a straordinari panorami, ci si riposa bene, si assaggiano piatti della gastronomia regionale. Una scoperta che prosegue più in basso, tra vini bianchi e rossi, mocetta, fontina e altre specialità.

Le frontiere verso Francia e Svizzera, fino a mezzo secolo fa, erano sbarrate dalla neve per sei mesi all’anno. Poi autostrade e trafori hanno cambiato le cose, e la Valle d’Aosta, nel bene e nel male, è diventata una terra di transito. Oggi Cogne, Courmayeur, Ayas e le altre località valdostane si raggiungono comodamente da tutta Europa.
Agli escursionisti che leggono questa guida consigliamo di salire a un valico di frontiera (il Col Ferret, il Col de la Seigne, anche quelli con il Piemonte vanno bene), e di scendere per qualche metro al di là. Scavalcare a piedi le Alpi è un’emozione grande, che riporta all’Europa del passato.
Buoni sentieri per tutti!
Stefano Ardito e Cesare Re

ll rifugio Fratelli De Gasperi ai piedi delle Dolomiti Pesarine

Nella nuova edizione della guida I 50 rifugi più belli del Friuli Venezia Giulia Stefano Ardito ci descrive il rifugio Fratelli De Gasperi, uno dei migliori punti di appoggio delle Dolomiti di Val Pesarina.

Le catene rocciose che si alzano tra Sappada e Pesariis segnano il confine orientale del mondo dolomitico e prendono il nome di Dolomiti Pesarine (o di Val Pesarina), dal solco che le delimita a mezzogiorno. Mentre la Terza Grande appartiene tutta al Veneto, e il Monte Siera svetta sul confine regionale, è interamente in territorio friulano l’aspro massiccio dei Clap. Tra queste montagne solitarie e selvagge, gli escursionisti e gli alpinisti hanno normalmente a disposizione dei bivacchi che richiedono avvicinamenti molto lunghi. Offre una piacevolissima parentesi l’accogliente rifugio Fratelli De Gasperi, che sorge sullo spallone del Clap Grant, in una zona di grande suggestione. Il rifugio è circondato da pascoli e affiancato da un interessante orto botanico, ma è sorvegliato da aspre montagne rocciose. Costruito per la prima volta nel 1925, è stato bruciato nel 1945 dalle truppe d’occupazione cosacche, che trucidarono anche tre valligiani. Ricostruito dopo la guerra, è stato ampliato e ristrutturato più volte, e ha assunto l’aspetto attuale nel 1995. Ricorda i fratelli Giuseppe, Luigi Calisto e Giovanni Battista De Gasperi. Il primo è morto in montagna, sulla Civetta, nel 1907. Gli altri due, invece, sono caduti durante le battaglie della Grande Guerra.
Il rifugio offre un bel colpo d’occhio sul Creton di Clap Grande, il Creton de Culzei e le vette vicine. Più lontani la Creta Forata e il Pieltinis. Si tratta di un’ottima meta per una camminata, ma anche un punto di partenza per escursioni, ferrate e arrampicate di grande interesse, oltre ad essere posto-tappa sull’Alta Via numero Sei. Un bel sentiero a mezza costa conduce a Casera Mimoias. Si può traversare a Sappada per il Passo Elbel (facile) o la Forcella dell’Alpino. L’impegnativa Ferrata dei 50 raggiunge la cresta sommitale dei Clap e la percorre poi fino in vetta al Creton di Culzei. Il sentiero attrezzato Corbellini aggira la Cima di Riobianco. Si arriva in breve alla frequentata via normale del Clap Grande e agli interessanti itinerari di arrampicata del Lastron di Culzei, della Creta Livia, del Clap Grande e del Creton di Culzei.

La guida con i migliori itinerari ai rifugi, alle malghe e ai bivacchi del Friuli Venezia Giulia scelti e descritti da Stefano Ardito:

Guida ai 50 rifugi più belli del Friuli Venezia Giulia

A piedi tra arte e natura: il Parco del Sojo

Il Parco del Sojo è uno dei luoghi del Veneto da visitare. Nella guida I 50 sentieri più belli dell’Altopiano di Asiago Federica Pellegrino propone un itinerario che, oltre alla visita del Parco, prevede una prosecuzione fino a Piazza-Campana.

Rientra nella norma che un ambiente montano possa essere inserito in un parco. Insolito invece è che esso diventi un museo d’arte. Nella piccola frazione di Covolo di Lusiana, a ridosso dello sperone roccioso del Sojo, sul margine sud est dell’Altopiano, è stato realizzato un museo all’aperto di arte contemporanea, l’unico nel suo genere in Veneto. È il Parco del Sojo, aperto tutti i giorni d’estate e solo nel weekend nelle altre stagioni, inserito in un’oasi verde che si estende per otto ettari su un territorio prevalentemente boschivo, solcato da sentieri e mulattiere. Nella pubblicazione Arte e Natureza (2017), il Parco del Sojo è inserito tra i trenta parchi d’arte più belli del mondo.

Si tratta di un parco privato in cui sono collocate circa 80 opere di arte contemporanea realizzate da artisti internazionali. Queste opere si integrano magnificamente nel contesto naturale anche grazie alla scelta dei materiali: legno, pietra, acciaio corten, bronzo, ceramica, gres.

L’itinerario

Questo itinerario parte dal fondovalle e arriva a Piazza-Campana, una frazione di Lusiana, dove si trova la torre campanaria che custodisce la campana più antica del Veneto, datata 1388.
Il percorso, che passa accanto al Parco del Sojo e consente di vedere solo alcune delle opere d’arte ospitate, esce sulla sterrata che sale alla torre campanaria. Per vedere tutte le installazioni è necessario pagare un biglietto di pochi euro e seguire i percorsi suggeriti in biglietteria, dove viene consegnata la mappa del parco con la dislocazione di tutte le opere.

Quote da 441 a 871 m
Dislivello 430 m
Difficoltà T/E
Tempo salita 2 ore; discesa 1.15 ora; visita al Parco 2 ore
Segnaletica segnavia 700 e bianco-rossi al suolo, cartelli del Parco del Sojo
Periodo consigliato tutto l’anno
Cartografia carta Tabacco, scala 1:25.000, “Altopiano dei Sette Comuni, Asiago, Ortigara”

Trono, Parco del Sojo (foto di Ernesto Jobin)

Il Parco del Sojo

Il Parco del Sojo nasce dall’intuizione dell’architetto Diego Morlin e dal suo desiderio di dare nuova vita a un’area di straordinario interesse ambientale e storico, lasciata a lungo in totale stato di abbandono. Il sito ospita attualmente più di settanta opere d’arte di artisti italiani e stranieri, collocate su sentieri ripristinati che si snodano in saliscendi nel bosco, attraversando anche alcuni tratti ripuliti di trincee della Grande Guerra (info su www. parcodelsojo.it).

La guida

L’itinerario Da Valle di Sopra al Parco del Sojo e a Piazza-Campana è descritto nella guida I 50 sentieri più belli dell’Altopiano di Asiago

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La Ferrata della Memoria al Vajont

L’emozionante Ferrata della Memoria è descritta nella guida Le 50 vie ferrate più belle delle Dolomiti di Federica Pellegrino e Marco Corriero. Si tratta di una via caratterizzata da un’esposizione estrema e costante. La roccia è solida e liscia, povera di appigli, ma ben dotata di prese artificiali.
Questa via ferrata rappresenta un modo per vivere da vicino i luoghi protagonisti della tragedia del Vajont.

Il 9 ottobre 1963 è una data tristemente impressa nella memoria collettiva. Quella notte due chilometri quadrati di montagna si staccarono dal Monte Toc e precipitarono nel lago artificiale del Vajont. La frana scagliò contro il cielo 50 milioni di metri cubi d’acqua e sollevò un’ondata gigantesca che scavalcò il bordo della diga e si avventò come un bolide schiumoso sui paesi addormentati, spazzandoli via. L’onda sprigionò una potenza pari a due bombe atomiche e in quattro minuti uccise quasi duemila persone. Si trattò di un disastro previsto, di una strage annunciata. La diga perfetta, il biglietto da visita del lavoro italiano all’estero, era stata costruita sotto un monte franoso. I vertici della Sade e lo Stato ne erano a conoscenza ma tacquero, perché le ragioni dell’azienda erano molto di più che la paura di uccidere.

Oggi quel capolavoro di ingegneria è ancora lì, intatto e inutile; delimita il Parco delle Dolomiti Friulane e testimonia che le ragioni della natura superano quelle della tecnologia. All’ombra della diga, in memoria della tragedia e delle sue vittime, è stata costruita una splendida via ferrata, inaugurata il 2 ottobre 2015, che risale la gola del Vajont fino al paese fantasma di Casso. Una targa ci ricorda che “su questo sentiero tra Val Cellina e Val del Piave passarono prima dell’onda secoli di vita”.

La guida

La descrizione dettagliata dell’itinerario la trovi nella guida Le 50 vie ferrate più belle delle Dolomiti

guida Le 50 vie ferrate più belle delle Dolomiti

La nuova guida aggiornata ai rifugi più belli delle Dolomiti

Siamo lieti di annunciarvi che è disponibile la nuova guida I 100 rifugi più belli delle Dolomiti, giunta alla terza edizione! L’autore, Stefano Ardito, dedica a voi lettori questa presentazione.

Qualcuno, banalizzandoli un po’, li considera delle trattorie d’alta quota, dove gustare una polenta, uno strudel o una grappa davanti a un sensazionale panorama. Altri, più esperti di montagne, pareti e sentieri, sanno che i rifugi sono prima di tutto dei punti di appoggio per chi arrampica, per chi percorre un’alta via, per chi vuole restare per qualche giorno lontano dal fondovalle e dal traffico.

Secondo i sondaggi più recenti, in estate, sulle Dolomiti ma non solo, tre quarti degli escursionisti scelgono come mèta della propria camminata un rifugio. Che appartengano al CAI, alla SAT o a un privato, che sorgano tra prati e boschi o al centro di un severo paesaggio roccioso, che possano ospitare per la notte venti oppure cento persone, i rifugi attirano, rassicurano, accolgono. I gestori dei rifugi, che spesso sono anche guide alpine, sono le migliori fonti di informazioni sui sentieri, le vie di arrampicata e le ferrate.

Questa guida, che è giunta alla sua terza edizione in quattro anni (grazie a tutti!), nasce da molti anni di esperienza dell’autore sui sentieri e sulle vette dei Monti Pallidi. Si rivolge sia agli escursionisti esperti, sia a chi trascorre per la prima volta un periodo di vacanza in montagna, e ha voglia di fare due passi. Per chi vive in Veneto, in Trentino, in Alto Adige e in Friuli, i rifugi delle Dolomiti possono essere delle mète per una escursione da fare tranquillamente in giornata da casa. In queste pagine troverete i celeberrimi punti di appoggio del Brenta, delle Tre Cime, del Catinaccio e dei dintorni di Cortina, ma anche dei rifugi molto meno famosi, in massicci meravigliosi e segreti come le Vette Feltrine, i Cadini di Misurina e il Bosconero. Troverete rifugi a portata di mano da una funivia o dalla strada, e altri che richiedono a chi li vuol raggiungere delle faticose scarpinate.

Dovunque i panorami e i larici, le fioriture e i ghiaioni, i resti della Grande Guerra e le malghe vi ricorderanno di essere sulle Dolomiti, le montagne più belle del mondo. L’invito è di andare, di faticare, di imparare ad amare come meritano questi luoghi. E di riportare con voi splendide foto (anche qualche selfie, se volete) e soprattutto dei ricordi preziosi, da custodire con cura.

Buone Dolomiti e buone escursioni ai rifugi, per tutti.

Si ringrazia per la foto di copertina il Rifugio Locatelli-Innerkofler

guida-100-rifugi-più-belli-delle-Dolomiti

Sul Passo di Volaia il rifugio Lambertenghi vi aspetta!

“Il panorama dalla vetta del Coglians è tra i più vasti e grandiosi delle Alpi orientali” ha scritto settant’anni fa Ettore Castiglioni nella sua guida della zona pubblicata dal CAI e dal TCI. Non a caso, ai piedi del Coglians e delle vette vicine sorgono i rifugi più amati dagli escursionisti e dagli alpinisti friulani. Stefano Ardito, nella guida I 50 rifugi più belli del Friuli venezia Giulia, ci descrive così il rifugio Lambertenghi-Romanin.

Uno dei rifugi più frequentati delle montagne friulane attende gli escursionisti e gli alpinisti a 1955 metri di quota, poco a valle del Passo di Volaia e del confine italo-austriaco, ai piedi delle imponenti pareti calcaree del Monte Coglians e del Monte Capolago.
Classica meta di escursioni in famiglia, ma anche utilissimo posto-tappa per chi vuole affrontare itinerari più lunghi, vie ferrate o arrampicate, il rifugio Lambertenghi-Romanin attira ogni tipo di frequentatori della montagna. In pochi minuti, proseguendo oltre il rifugio, ci si affaccia sul magnifico Lago di Volaia, oltre il quale sorge la Wolayersee Hütte, un accogliente e panoramico punto di appoggio di proprietà della Sezione di Vienna del Club Alpino Austriaco. Su entrambi i versanti del Passo di Volaia, e con più evidenza su quello italiano, trincee, fortificazioni ed edifici testimoniano dell’importanza di questi luoghi nel corso della Grande Guerra. La vetta del Coglians, 2780 metri, fu occupata fino al novembre del 1917 dagli alpini piemontesi del battaglione Dronero, che da un fortino in cemento tenevano sotto tiro il Lago di Volaia e il Valentin Törl, il passo che separa le pareti verticali del Coglians dal modesto cocuzzolo del Rauchkofel. Molte postazioni della zona sono state restaurate.
Anche il rifugio, una grande e accogliente costruzione in muratura, è stato costruito pochi anni dopo il termine della Prima Guerra Mondiale per iniziativa di Antonio Del Regno, ed è stato inaugurato nel 1935. Fin dall’inizio è stato dedicato al tenente Lambertenghi, caduto nel giugno del 1915 in un attacco italiano verso il Passo di Volaia, e al tenente Romanin. Alla fine degli anni Settanta l’edificio, in pessime condizioni, è stato ceduto al Comune di Forni Avoltri, che lo ha restaurato e ampliato. La nuova costruzione è stata inaugurata nel 1982. La zona è magnifica e integra, anche se la posizione sul fondo del vallone limita il panorama. Le fioriture e i fossili attirano numerosi escursionisti nella zona. Incombono sul rifugio le rocce del Monte Capolago e dei complicati contrafforti del Coglians. Dal vicinissimo Passo di Volaia si apre un magnifico colpo d’occhio sull’omonimo lago e sul versante settentrionale della vetta più elevata.

La guida con i migliori itinerari ai rifugi, alle malghe e ai bivacchi del Friuli Venezia Giulia scelti e descritti da Stefano Ardito:

Guida ai 50 rifugi più belli del Friuli Venezia Giulia