A piedi sulle montagne dell’orso bruno marsicano
Novantacinque anni fa, il Parco d’Abruzzo è nato per tutelare due specie. Il camoscio appenninico, “il più bello del mondo”, e l’orso bruno marsicano, il signore delle foreste d’Abruzzo. Stefano Ardito ci racconta come vive l’orso nel fantastico scenario del Parco Nazionale d’Abruzzo, una delle aree protette più amate dagli escursionisti di tutta Europa.
Impressionante per le dimensioni (i maschi possono raggiungere i due quintali e mezzo di peso, le femmine sono un po’ più piccole), la sua forza, l’agilità che rivela quando si sente minacciato o vuol giocare, questo mammifero si nasconde quasi sempre agli occhi dei visitatori del Parco, che pure sarebbero felici di poter avere un incontro ravvicinato con lui.
Legatissimo al bosco da cui ricava la “faggiola”, i germogli di faggio che sono uno dei suoi cibi preferiti (l’altro sono le bacche di ramno, che crescono alla fine dell’estate), l’orso marsicano costruisce le sue tane negli angoli più nascosti della faggeta e va in letargo da dicembre a fine marzo. Non si tratta di un riposo assoluto, dato che molti orsi, soprattutto di sesso maschile, escono sporadicamente dalle tane anche in pieno inverno per andare in cerca di cibo o per prendere un po’ di sole.
I periodi migliori per incontrarlo sono quelli che seguono il risveglio e precedono il letargo, nei quali l’orso resta in movimento molto a lungo. A maggio-giugno l’animale, dimagrito durante il riposo invernale, ha bisogno di ingurgitare una enorme quantità di cibo. Qualcosa del genere accade in autunno, quando il “re del bosco” ha l’esigenza di immagazzinare del cibo prima di ritirarsi nella tana.
Se è affamato, l’orso non ha paura di avvicinarsi agli stazzi nella speranza di uccidere una pecora. Un quarto della sua dieta, infatti, è costituito da carne. Più spesso, soprattutto di notte, l’orso lascia la sicurezza del bosco per raggiungere i frutteti, le arnie, i campi di mais e gli orti, un comportamento che lo espone a gravi rischi.
In qualche caso, come per l’orsa soprannominata Yoga tra la Val Fondillo e la Camosciara, e per l’orso Bernardo nella Valle del Giovenco, un orso scende in cerca di cibo verso le strade e i paesi. Il Parco cerca di limitare il fenomeno degli “orsi confidenti” piantando alberi da frutta (mele, soprattutto), installando periodicamente dei carnai e punendo chi abbandona immondizie commestibili nelle aree da picnic e accanto alle strade.
Anche dopo la nascita del Parco, il rapporto tra l’uomo e l’orso non è affatto idilliaco. Dal 1922 a oggi, in media, sono stati trovati morti 2,5 orsi all’anno. Tra il 1980 e il 1985 si è arrivati a 5, poi c’è stato un calo, infine la media è salita di nuovo. In oltre l’80% dei casi la morte è stata causata dall’uomo con fucilate, lacci per cinghiali, bocconi avvelenati, investimenti da parte di auto e treni.
Questi terribili dati contrastano con quelli degli anni Ottanta, quando i documenti dell’allora Parco Nazionale d’Abruzzo parlavano di “80-100 esemplari” presenti nell’area e di una specie in salute. I ricercatori del Corpo Forestale dello Stato erano più pessimisti, e avevano ragione. Da qualche anno il test del DNA, compiuto su ciuffi di pelo o escrementi, consente di distinguere i singoli orsi.
Gli studi più recenti parlano di circa 40 animali, concentrati nel Parco d’Abruzzo, Lazio e Molise e nei suoi immediati dintorni, più 5-8 maschi isolati che vagano su una zona più vasta. Il vero patrimonio sono le 10-12 femmine in età riproduttiva, che non si allontanano dal Parco. Un’orsa partorisce ogni tre anni, i parti sono tre o quattro a stagione. Questo spiega quanto è stretto il margine per salvare la specie dall’estinzione.
foto: Massimo Piacentino