Skip to main content

Mese: Aprile 2016

Cento Fonti: un’escursione imperdibile nel Parco Nazionale Gran Sasso-Laga

Cento Cascate o Cento Fonti? Se il secondo toponimo è il più diffuso nella zona, gli scritti di Carlo Landi Vittorj hanno reso popolare il primo tra i camminatori che arrivano da Roma. Ecco l’itinerario che da Cesacastina ci conduce alla Valle delle Cento Cascate tratto dalla guida Sentieri nel Parco Nazionale Gran Sasso-Laga.

Qualunque soprannome gli si assegni (sulle carte si chiama Fosso dell’Acero), il solco che sale da Cesacastina verso le Cime della Laghetta e il Gorzano è percorso a primavera da un bellissimo torrente che scorre su dei lastroni di arenaria.

  • Dislivello 550 m
  • Tempo di salita 1.45 ore
  • Tempo di discesa 1.15 ore
  • Periodo consigliato da maggio a ottobre
  • Segnaletica bianco-rossa 300, 354 e Sentiero Italia, un tratto non segnato

Accesso

L’itinerario qui proposto consente di avvicinarsi in auto alle cascate, ma costringe ad affrontare una sconnessa strada sterrata.
Dalla chiesa di Cesacastina (1141 m) seguite la strada che attraversa il paese e prosegue sterrata verso nord (destra arrivando). Dopo una svolta a sinistra continuate sui panoramici terrazzi erbosi delle Piane, superando un campo sportivo e lasciando a destra una grossa stalla. Posteggiate accanto a un bivio con cartelli (1220 m, 2,5 km dal paese, 0.45 ore se a piedi).

Itinerario

Trascurata la strada che sale a svolte verso Colle della Pietra, seguite quella di sinistra, che scende a mezza costa nel bosco e raggiunge il Fosso dell’Acero nei pressi della captazione dell’ENEL (1340 m). Una stradina sbarrata da una catena sale a un piccolo rifugio chiuso a chiave (1365 m). Alle spalle della costruzione, un sentierino pianeggiante permette di affacciarsi sui primi salti e sui primi scivoli del torrente. Il percorso più comodo consiste nel seguirlo brevemente, tornare al rifugio, e poi seguire il sentiero segnato che si alza nella faggeta superando alcuni tratti fangosi e scivolosi. Raggiunta una vecchia ma ben visibile mulattiera conviene seguirla verso destra fino a ritrovare il torrente a poca distanza da un guado (1437 m). Ricordiamo che il torrente non va assolutamente traversato quando la portata è al massimo. Se è possibile traversare il corso d’acqua, conviene senz’altro costeggiarlo in salita per pochi minuti sulla sinistra orografica fino a un guado alla base del più spettacolare scivolo del vallone. Inoltre  Occorre raccomandiamo di fare molta attenzione sulle scivolose lastronate di arenaria accanto al torrente. Queste rocce, infide e scivolose, hanno causato numerosi incidenti, a volte mortali.

Oltre il guado il sentiero principale continua sulla destra orografica, a poca distanza dal torrente, affacciandosi su dei pendii erbosi più coricati, e sorvegliati dai ripidi pendii di terra e rocce della Costa delle Troie, la cresta che sale verso il Monte Gorzano. Usciti dalla faggeta (1580 m circa) continuate accanto al torrente, e poi salite a sinistra superando dei ripidi gradoni erbosi. Superata una baracca di lamiera utilizzata in estate dai pastori raggiungete una strada sterrata che arriva da Cesacastina. Poco più in alto è la copiosa Sorgente Mercurio (1790 m), al centro di un solenne anfiteatro di pascoli e rocce dominato dal Monte Gorzano e dalle Cime della Laghetta. In discesa occorrono 1.15 ore.

Foto: Alessandro De Ruvo

Alla scoperta dei Sibillini con la guida di Stefano Ardito

Da oggi è finalmente disponibile la guida con un ricco ventaglio di proposte per escursioni sui Sentieri nel Parco dei Monti Sibillini. Così ce la racconta l’autore Stefano Ardito.

I segreti, le leggende, i misteri. Le tradizioni dell’uomo, da sempre presenti anche alle quote più elevate. Una natura spettacolare e selvaggia, che propone al visitatore solenni altopiani e forre profondamente incise dalle acque, pareti di roccia di aspetto dolomitico e suggestive faggete, creste modellate dall’erosione e perennemente battute dal vento. Una fauna selvatica ancora notevole nonostante secoli di pastorizia intensiva e di caccia, e che ha visto nel 2008 il ritorno del camoscio, uno dei simboli della natura dell’Appennino. Una flora spontanea di straordinario interesse, che i botanici studiano con attenzione da secoli.

A cavallo tra l’Umbria e le Marche, a portata di mano da città d’arte come Spoleto, Ascoli Piceno e Perugia, i Monti Sibillini sono uno dei massicci più interessanti della catena che attraversa la Penisola dalla Liguria alla Calabria. Ben lo sanno gli alpinisti, che trovano sul Pizzo del Diavolo, sul Monte Bove e sulla Piramide del Vettore una scelta di arrampicate estive seconda solo a quella offerta dal Gran Sasso, e che possono spaziare d’inverno sulle creste e i canaloni di neve e ghiaccio dell’intera catena.

A chi cerca la tranquilla avventura sui sentieri, i Sibillini offrono gli itinerari verso le aspre valli dell’Infernaccio, del Fiastrone e dell’Ambro, e quelli che ricalcano antichi percorsi come la Strada Imperiale e la Via dei Mietitori. Al confine meridionale del massiccio, gli altopiani di Castelluccio e i dolci pendii che li circondano offrono un terreno di gioco ideale per i fondisti e per gli appassionati del volo libero.

Affacciati a oriente sulle dolci colline delle Marche, protesi a occidente verso la Valnerina e i severi altopiani dell’Umbria, i Sibillini hanno svolto un ruolo importante nella storia dell’uomo in entrambe le regioni. Oltre ai centri di aspetto medievale, alle abbazie isolate e agli eremi abbarbicati sulla montagna, testimoniano di questo le superstizioni e le leggende così comuni sul massiccio.

A pochi metri dall’omonima vetta, la modesta Grotta della Sibilla ospitava secondo un’antica tradizione la maga. Ai piedi del Pizzo del Diavolo, il Lago di Pilato è stato frequentato per secoli da negromanti e stregoni.

Lago-di-Pilato-Pizzo-del-Diavolo
Queste presenze inquietanti non hanno tenuto lontana la speculazione da parte dell’uomo. Negli anni Cinquanta e Sessanta strade deturpanti e inutili sono state tracciate sul massiccio, mentre ben cinque stazioni sciistiche sono sorte sui versanti dei Sibillini. La battaglia per impedire la loro ulteriore estensione, combattuta nel corso degli anni Ottanta da ambientalisti e alpinisti, è stata la necessaria premessa della nascita del Parco.Poi il vento è cambiato, e dal 1995 il Parco Nazionale dei Sibillini tutela 71.437 ettari di diciotto Comuni umbri e marchigiani. A spingere verso la nascita del Parco, va detto, è stato anche l’impegno degli innamorati e dei frequentatori dell’Appennino. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: anche grazie al Parco e alle sue iniziative, nei borghi ai piedi del massiccio sono nate nuove strutture ricettive, si sono moltiplicate le guide escursionistiche, hanno avuto nuovo slancio i prodotti tipici. Il Grande Anello dei Sibillini, lungo 120 chilometri e diviso in nove tappe, compie il periplo completo di queste montagne.

Agli escursionisti che cercano camminate di poche ore o di un giorno, questa guida propone un’ampia scelta di percorsi. I brevi e comodi sentieri-natura, gli itinerari più lunghi che conducono a vette minori e valichi, le faticose salite alle cime del Bove, del Bicco, della Priora e del Vettore permettono a tutti gli appassionati di trovare il sentiero adatto al loro allenamento e alle condizioni della montagna e del tempo.
A tutti, dovunque scelgano di andare, oltre all’invito alla prudenza (anche se la quota rispetto alle Alpi è modesta, queste sono montagne ripide e serie), chiediamo di rispettare la natura, le opere dell’uomo, le indicazioni del Parco.
I panorami verso l’Appennino e il mare, le fioriture, i colori dei boschi, le apparizioni del camoscio, dell’aquila e – con un pizzico di fortuna – del lupo sono emozioni straordinarie, in grado di ricompensare della fatica.
Buone camminate a tutti.”

Vipere, cinque luoghi comuni da sfatare

Anche se è una della attività più belle, andare in montagna comporta dei rischi che è bene conoscere per saperli affrontare nel momento del bisogno. Tra questi, il morso di vipera rappresenta uno dei meno frequenti, ma non dei più pericolosi. Iniziamo a far nostre delle nozioni fondamentali.

  • La vipera, come tutti i serpenti, non ha un udito molto sviluppato: cercare di spaventarla con urla o colpi non servirà a molto
  • Le vipere europee hanno denti di lunghezza assai ridotta ed è molto improbabile che esse possano mordervi al di sopra di una ventina di centimetri di altezza. Pantaloni lunghi e/o calzettoni spessi e alti costituiscono un sistema di protezione assai efficace. Quando vi addentrate in zone coperte da vegetazione fitta e alta, radunatevi in fila indiana, collocando per ultimi i componenti più bassi (soprattutto i bambini)
  • Molto raramente un morso di vipera è mortale: secondo uno studio promosso dal Ministero della Salute, su 286 persone morse da vipera, la gravità dell’avvelenamento è stata bassa (45% dei casi), lieve (30%), moderata (14%), grave (8%) e mortale (1% dei casi)
  • Il colore del segno del morso o la distanza dei fori non ci dicono molto sulla natura del serpente che ci ha attaccati. Del resto la vipera non inocula sempre il proprio veleno. L’unico segno certo dell’inoculazione del veleno è un acutissimo dolore, il gonfiore e il colore rosso/blueastro dell’area colpita. Ma questi elementi si rendono evidenti dopo circa venti minuti dal morso, quando invece l’intervento deve essere rapido per risultare risolutivo. Trattate subito ogni morso come se fosse di vipera, senza perdere tempo
  • In caso di morso applicate un bendaggio non troppo compressivo, nel tratto più lungo possibile a monte dell’arto. Ostacolate il torpore della persona morsa e fatela restare a riposo, in attesa dei soccorsi

I tesori di Veio

Il Parco di Veio, istituito dalla Regione Lazio nel 1997, si estende su 14.984 ettari dei Comuni di Campagnano di Roma, Castelnuovo di Porto, Formello, Magliano Romano, Mazzano Romano, Morlupo, Riano, Sacrofano e Roma. Tutto l’anno, soprattutto dalla primavera all’autunno, vengono organizzate escursioni, visite guidate e attività di divulgazione tematiche.

Ma non mancano anche le attività sportive nella natura come l’escursionismo, la mountain-bike e l’equitazione. I lettori che utilizzeranno la guida al Parco di Veio incamminandosi sui viottoli del Parco scopriranno una delle aree naturali più belle d’Italia, come l’itinerario che vi proponiamo, dedicato all’area archeologica di Veio, ben dimostra.

La città etrusca che i Romani chiamano Veii nasce attorno al IX secolo avanti Cristo. Veio controllava allora la destra orografica del Tevere, inclusi le odierne Monteverde e Trastevere. Il controllo del commercio sul fiume, e delle saline alla sua foce, portò allo scontro con Roma. Le guerre, che secondo lo storico Tito Livio iniziano nel VII secolo avanti Cristo quando a Roma regna Anco Marzio, sono avvolte dal mito. Tra gli episodi più noti il massacro nel 477 dei guerrieri della Gens Fabia, caduti in un’imboscata accanto al fiume Crèmera, e l’uccisione di quattro ambasciatori romani da parte del re Lars Tolumnius, poi vendicata da Aulo Cornelio Cosso che riesce poi a uccidere il re etrusco.

La visita dell’area archeologica di Veio inizia dalla strada che porta a Isola Farnese, a quasi 1,5 km dalla Via Cassia. Il borgo di Isola Farnese, con la chiesa medievale di San Pancrazio e un imponente palazzo baronale, merita una visita. Dalla sella che precede il paese, prendete la strada asfaltata che scende verso il cimitero, fino ad un vecchio mulino sul Fosso Piordo.

21.22.23. Veio, il Santuario (1)

Traversato il torrente al disopra di una cascata, si sale all’ingresso degli scavi. Poche decine di metri su una strada lastricata vi porteranno ai resti del Santuario di Portonaccio. Una sagoma metallica permette di scoprire le dimensioni del tempio etrusco e romano. Usciti dall’area recintata, continuate a salire tra i campi sulla strada sterrata, fino a sbucare sul pianoro. Lasciato a destra il sentiero, si superano gli scavi della villa romana di Campetti, raggiungendo così la strada sterrata che attraversa da nord a sud l’altopiano. Seguitela a destra fino a un bivio. Lo sguardo da qui spazia sulla valle del Tevere e sull’Appennino. Nelle giornate serene si riconoscono il Terminillo e il Gran Sasso.

V

A sinistra, da un cancello di ferro, l’itinerario prosegue verso la valle del Valchetta e il Ponte Sodo. Piegate a sinistra al primo bivio e scendete per una strada sterrata. Al secondo bivio prendete a destra per una carrareccia indicata da vecchi segnavia che tocca gli scavi della villa romana di Campetti e riporta al percorso dell’andata.

Rifugi sulle Alpi Carniche

La Carnia è l’anima del Friuli. I solchi scavati nei millenni dalle acque del Degano e del But permettono a chi arriva dalla pianura di avvicinarsi a borghi che conservano tradizioni millenarie, e a massicci di eccezionale bellezza. Cuore di queste montagne, e al tempo stesso “tetto” delle Alpi Carniche e del Friuli, è il massiccio del Coglians, la Höhe Warte degli escursionisti carinziani, che tocca i 2780 metri di quota.

Cervo 7

Ai piedi del Coglians e delle vette vicine sorgono i rifugi più amati dagli escursionisti e dagli alpinisti friulani, come il Lambertenghi-Romanin e il Marinelli, affiancati appena al di là del confine dalla Wolayersee Hütte. A est del massiccio più alto e del Passo di Monte Croce Carnico, delle vette che alternano le pareti rocciose ai prati, il Pal Piccolo, la Creta di Timau e l’Avostanis, ospitano altre strutture molto amate come la Casera Pramosio.

Rifugi e bivacchi, invece, ridiventano relativamente abbondanti sugli aspri massicci rocciosi della Creta Grauzaria, del Monte Sernio e del Zuc dal Bôr, cari a escursionisti e alpinisti che amano i luoghi selvaggi. Sulla cresta di confine tra il Coglians e il Passo di Pramollo, dove il confine tra l’Italia e l’Austria non è stato modificato al termine della Prima Guerra Mondiale, offrono delle mete interessanti agli escursionisti le postazioni dei due eserciti, austriaco ed italiano, dove fanti, alpini e truppe imperiali si sono scontrate per due anni e mezzo.
Il loro restauro, soprattutto nella zona tra Kotschach-Mauthen e Timau, è stato (ed è ancora) un ottimo lavoro nel segno della pace e della fratellanza tra i popoli.

DSC_0926

Una storia particolare caratterizza il Nordio-Deffar, il rifugio più orientale delle Alpi Carniche italiane che ha cambiato posizione più volte nella sua storia. Costruito alla fine del secolo XIX, nell’alto Vallone di Ugovizza, come capanno di caccia, dopo il passaggio della zona all’Italia viene affidato alla Milizia Forestale. Pochi anni dopo viene smontato e spostato più a valle, in un luogo più accessibile dal paese. Nel 1939 il rifugio va a fuoco, poi viene ricostruito nello stesso punto dalla Società Alpina delle Giulie.

Nuova distruzione nel 2003, stavolta a causa di una violenta alluvione. Ricostruito più in alto, viene nuovamente inaugurato su un bel pendio erboso inclinato, circondato dal bosco, pochi minuti di cammino a valle della Sella di Lom. In due ore, da qui, si sale al crinale erboso e allo sconfinato panorama del Monte Oisternig, la vetta più orientale delle Alpi Carniche.

Le zecche. Cinque cose che dovete assolutamente sapere

Le zecche sono diffuse su tutto il territorio italiano. La loro resistenza a condizioni ambientali sfavorevoli fa sì che esse possano svilupparsi e sopravvivere anche in habitat situati a quote relativamente elevate (fino a 1800 metri, in genere). Con l’arrivo della primavera aumentano le occasioni di potenziale esposizione agli attacchi di questo parassita, che proprio nel periodo compreso fra marzo ad ottobre è alla ricerca di prede. Ci pare dunque utile condividere con voi cinque consigli su come evitare di essere attaccati e su quali procedure seguire se si è già stati attaccati.

  • Indossate abiti di colore chiaro (ma non troppo sgargiante), ed evitate i profumi. Chiudete il fondo dei pantaloni (lunghi) infilandolo nei calzettoni e non sedetevi mai direttamente sull’erba senza mettere un telo, soprattutto se in zone poco battute
  • Se venite attaccati, prima si leva la zecca e minore sarà il rischio di contrarre un’infezione: per questo, al ritorno da ogni escursione, non bisogna dimenticare di effettuare un’attenta ispezione del proprio corpo. Ascelle, inguine, parte interna del ginocchio, collo, ombelico sono le zone più appetibili per le zecche
  • Il miglior sistema di estrazione della zecca è quello meccanico, che riduce sensibilmente il rischio di rigurgito di sangue infetto. La zecca può essere sfilata con delle pinzette. In mancanza dello strumento apposito, anche quelle da depilazione vanno bene, soprattutto per le zecche più piccole e dure.
  • Stringete il più vicino possibile alla pelle, girando le pinze in senso antiorario e facendo attenzione a non schiacciare la zecca
  • Segnate sul calendario la data precisa del morso: se entro 40 giorni non compaiono eritemi o altri sintomi sospetti, siete al sicuro. Ma è sempre consigliato sottoporsi ad un controllo medico di routine.

 

Dalla Marmolada al Passo San Pellegrino

Se è vero che il fronte della Marmolada fu molto statico, numerosi scontri di pattuglie e vere e proprie battaglie si svolsero sulle vette rocciose che la circondano. Gli eserciti combatterono aspramente sul Passo d’Ombretta, ai piedi della parete Sud della Marmolada, e sul Col Ombert che era presidiato dai Kaiserjäger. Gli Alpini occuparono i torrioni vulcanici della Mesola. Di seguito alcune idee per itinerari di estremo interesse alla riscoperta di questa parte fondamentale della nostra storia, tratte dal volume di Stefano Ardito La Grande Guerra, Guida ai luoghi del 1915-1918.

Marmolada

Musei, rifugi, sentieri, vie ferrate. Gli impianti di risalita consentono di scoprire comodamente i musei e i panorami della Marmolada e dei suoi immediati dintorni. La funivia che sale da Malga Ciapela alla Marmolada di Rocca, dalla quale si raggiungono le piste da sci del ghiacciaio, ospita nella stazione di Punta Seràuta il Museo della Grande Guerra in Marmolada, dove i ritratti di Vittorio Emanuele III e di Francesco Giuseppe vigilano su armi, mappe, documenti e oggetti di vita quotidiana. Lasciato l’impianto un sentiero ghiaioso che sale a Punta Seràuta si trasforma ben presto in una via ferrata che tocca delle caverne di guerra restaurate. Si raggiunge più comodamente il Museo della Grande Guerra 1914-18 di Passo Fedaia. La vicina cabinovia porta al Pian dei Fiacconi e ai suoi rifugi, ma può essere utilizzata anche per raggiungere la via normale della Punta Penìa o la ferrata della Cresta Ovest della Marmolada, realizzata a scopi pacifici nel 1903 e poi utilizzata anche in guerra.

Marmolada, Museo Grande Guerra

Lontano dalla Marmolada. L’impressionante ferrata delle Trincee, zigzagante tra i bizzarri pinnacoli di roccia vulcanica della Mesola, si raggiunge con gli impianti da Arabba, o a piedi dalla strada del Fedaia.

Offre un percorso facile ma di grandissima suggestione anche la ferrata Bepi Zac alla Cresta di Costabella, che si raggiunge dal Passo San Pellegrino a piedi o utilizzando la seggiovia Paradiso. In un tunnel, prima della discesa, è allestita la notevole mostra fotografica “Guerra alla guerra”, con immagini di feriti e mutilati, opera del tedesco Ernst Friedrich, che la espose per la prima volta a Berlino nel 1924.

V. Fassa ES 0079

In Valle di Fassa. Armi, divise e altri oggetti si possono osservare nella raccolta “Sul fronte dei ricordi” di Someda, una frazione di Moena, inclusa nel “museo sul territorio” del Museo Ladino di Fassa. Suggestiva la visita al cimitero austro-ungarico di Santa Giuliana, oggi affiancato da un monumento che ricorda i soldati fassani caduti in Galizia. Sul versante veneto del Passo Pordoi una strada asfaltata ai piedi delle pareti di dolomia del Sella porta al Sacrario Germanico, dove riposano 454 soldati tedeschi e 8128 austro-ungarici caduti nella Grande Guerra. Sulle terrazze esterne sono sepolti 842 militari della Wehrmacht morti nella Seconda Guerra Mondiale.

Tuttavia uno degli itinerari “classici” legati alla Grande Guerra è senza dubbio quello che conduce da Alba al rifugio Contrin. Inaugurato nel 1897 dalla Società Alpinisti di Norimberga, nel 1921 viene ceduto all’Associazione Nazionale Alpini, presieduta da Arturo Andreoletti. Sei anni prima, come ufficiale dell’artiglieria da montagna, era stato lo stesso Andreoletti a causare la distruzione dell’edificio! Dal 1985 il rifugio ricorda Franco Bertagnolli, presidente dell’ANA dal 1972 al 1981. Dall’alto, la Punta Penia, la più alta della Marmolada, e le Cime d’Ombretta, sorvegliano il rifugio.

Da Zompo Lo Schioppo a Santa Maria del Caùto

Alta un’ottantina di metri, la cascata di Zompo lo Schioppo, tra le più spettacolari d’Abruzzo, sgorga da un foro al sommo di un’alta parete di roccia calcarea, ed è il cuore dell’omonima Riserva Naturale Regionale. Istituita nel 1987, la Riserva si estende per 1025 ettari e merita di essere visitata soprattutto a primavera, quando la portata della cascata è massima e le faggete che la circondano formano un suggestivo tappeto verde.

Di seguito un’idea di itinerario perfetta per il weekend, tratta dal volume I 50 Sentieri più belli d’Abruzzo di Stefano Ardito, che raccomandiamo per approfondimenti sugli altri meravigliosi percorsi all’interno della regione. Per la mappa: trek map Riserva Zompo lo Schioppo – Monte Viglio – Pizzo Deta.

Accesso

Da Morino Nuovo seguite la strada di fondovalle che traversa l’abitato di La Grancia e raggiungete una piccola centrale dell’ENEL. Al primo bivio tenetevi sulla destra, seguendo le indicazioni per Piano Sacramento e il ristorante la Mandra, lasciando a sinistra la strada per il campeggio della Riserva e la Fossa. Una ripida rampa asfaltata porta a un laghetto dell’ENEL oltre il quale la strada diventa sterrata. Dei saliscendi in vista della cascata di Zompo lo Schioppo conducono al posteggio di Piano Sacramento (640 metri).

Itinerario

Un cartello indica un evidente sentiero che si addentra nel bosco, entrando dopo alcuni tornanti in un ripido vallone sassoso. Risalitelo, superando le rampe delle Scalelle, in parte scavate nella roccia. Traversato il fondovalle troverete una rampa ripida e faticosa, seguita dalla faggeta: continuate fino alla base di un’alta parete di roccia, al disopra dei grandi salti da cui sgorga la cascata.

affreschi1_ok

Proseguendo troverete un bivio (1138 metri), indicato da cartelli accanto al tunnel naturale del Caùto, che merita una deviazione. Lasciato a destra il sentiero che traversa il tunnel e sale verso il Campovano, andate a sinistra, attraversando un bel tunnel naturale, fino a giungere alla base di un antro giallastro. Il tracciato prosegue a mezza costa in una ripida faggeta, gira uno sperone e raggiunge l’eremo di Santa Maria del Caùto (1173 metri). Sulla piccola abside si notano resti di affreschi raffiguranti storie di Santa Caterina d’Alessandria.

La discesa richiede un’ora e un quarto circa. Prima di tornare alla strada vi consigliamo di scendere a un ponte sul torrente, traversare un prato, e proseguire poi seguendo i cartelli. Un viottolo e poi una strada sterrata vi condurranno al rifugio Lo Schioppo, ai piedi della cascata omonima.

  • 1
  • 2